Brasile, continua il silenzio di Bolsonaro e si accendono i suoi fans: blocchi stradali e rischio «resistenza armata» – I video

Sono oltre 230 i blocchi stradali che stanno coinvolgendo una ventina dei 27 Stati del Paese dopo la sconfitta del presidente brasiliano

Continua il silenzio dell’ormai ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro dopo oltre 24 ore dalla sua sconfitta alle elezioni. Non ha ancora riconosciuto pubblicamente né commentato la vittoria di Luiz Inacio Lula da Silva. Diverso invece per i suoi sostenitori che hanno organizzato oltre 230 blocchi stradali e autostradali in una ventina dei 27 Stati del paese. L’obiettivo è raggiungere l’area dei Palazzi del potere a Brasilia – che include il Palazzo Presidenziale, la Corte Suprema e il Parlamento – dove le autorità hanno predisposto un ampio servizio d’ordine. Misura presa anche a seguito dei messaggi che stanno circolando su Telegram tra le frange più radicali dei sostenitori di Bolsonaro. Che parlano anche di «resistenza armata».


I tentativi di mediazione

A tentare di rompere il silenzio è stato il ministro della Presidenza del Brasile, Ciro Nogueira. Che ha offerto la propria disponibilità ai rappresentanti della campagna di Lula per avviare il processo di transizione tra i due governi in vista del passaggio di consegne a gennaio. A renderlo noto è Edinho Silva, il portavoce della campagna del Partito dei lavoratori di Lula. Nel frattempo, anche il vice di Bolsonaro, il generale Hamilton Mourao, avrebbe avviato le procedure per un corretto cambio di guardia con il suo omologo eletto Geraldo Alckmin. Ma le tensioni non calano. Soprattutto in virtù della legge che prevede che il presidente uscente e quello vincitore nominino squadre di lavoro entro 48 ore per coordinare la transizione e garantire il trasferimento di dati e informazioni.


Un silenzio che preoccupa

A tracciare il confine vittoria-sconfitta tra Lula e Bolsonaro è stato un punto percentuale. 50,9% per il leader del partito dei Lavoratori contro il 49,1% raggiunto dal leader della destra. E lunedì, 31 ottobre, Bolsonaro è diventato irreperibile. Ai ministri che hanno tentato di contattarlo lo staff aveva risposto: «Il presidente è andato a dormire». Un silenzio che ha iniziato a preoccupare, soprattutto Lula, se letto nel contesto delle dichiarazioni passate di Bolsonaro in cui a più riprese aveva minacciato di non riconoscere il verdetto delle urne qualora avesse perso. Anticipando quanto sta accadendo, il leader vincitore si era infatti detto speranzoso che «il governo in uscita restasse civile e capisse la necessità di fare un buon trasferimento del potere».

I manifestanti

Ma da ieri sono moltissimi i manifestanti – vestiti di gallo e verde – che si stanno riversando nelle strade, sventolando cartelli pro-Bolsonaro, intonando l’inno nazionale, parcheggiando in mezzo alle strade per bloccare il traffico e in alcuni, casi, bruciando pneumatici. Intanto, Lula va dritto per le sue priorità politiche, ribadite anche nel suo primo discorso dopo le elezioni. E tra le prime c’è sicuramente la salvaguardia dell’Amazzonia: «Il Brasile è pronto a riprendere la sua leadership nella lotta alla crisi climatica. Il Brasile e il pianeta hanno bisogno un’Amazzone vivente».

Corte suprema: «La polizia rimuova blocchi stradali»

La Corte suprema federale del Brasile ha approvato una risoluzione, proposta dal giudice Alexandre de Moraes, affinché la polizia federale autostradale e quella militare statale sgomberino i tratti stradali bloccati. Nel testo della risoluzione si legge che la polizia stradale «non ha svolto il suo compito costituzionale e giuridico» e si avverte che, qualora non sgombero non venga eseguito, ci saranno forti sanzioni finanziarie e personali fino ad arrivare a una rimozione del direttore generale della polizia federale autostradale, Silvinei Vasques, e un suo eventuale arresto «in flagranza di reato».

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