Pensioni, da Quota 41 alla riforma della Fornero: cosa vuole fare il governo Meloni e cosa cambia dal 2023

Le ipotesi dopo l’incontro tra la ministra Calderone e i sindacati. Le soluzioni per il ritiro e i costi

Un primo intervento che andrà nella prossima Legge di Bilancio. E una riforma complessiva del sistema che mandi in cantina la Legge Fornero. Questo è il piano del governo Meloni sulle pensioni, previsto in due step. Il primo andrà a toccare chi avrà l’opportunità di ritirarsi dal lavoro nel 2023. Nell’incontro di ieri con i sindacati la ministra del Lavoro Marina Calderone ha cominciato ad annunciare i prossimi passi. Per scongiurare lo scalone che altrimenti scatta dal primo gennaio 2023. Perché alla fine di quest’anno scadono Quota 102, l’Ape sociale e Opzione donna. Per le opzioni di ritiro si partirà da Quota 41: saranno quelli gli anni di lavoro necessari. Ma è presto per sapere con quali condizionalità di età. «Stiamo studiando», ha risposto la ministra.


Le tre opzioni

Tra le ipotesi sostenute dalla Lega c’è quella di una Quota 41 con 61-62 anni di età. La soluzione costerebbe 5 miliardi l’anno. Di certo le forme di flessibilità devono anche essere sostenibili dal punto di vista finanziario, sottolinea la ministra. E, indipendentemente dagli interventi che sarà possibile fare in manovra, sarà poi «necessaria» una riforma complessiva. In ballo ci sono comunque tre soluzioni:


  • con 61 anni di contributi si tratterebbe di una nuova Quota 102 composta da 61 anni di età e 41 di contributi: oggi sono richiesti 64 anni di età e almeno 38 di contributi;
  • con 62 o 63 anni di contributi la nuova formula sarebbe una Quota 103 o 104;
  • in ogni caso verrebbero prorogate Ape Sociale e Opzione Donna.

Il Sole 24 Ore aggiunge che per il dopo Quota 102 sul tavolo c’è anche l’ipotesi di associare il vincolo anagrafico di 61 o 62 anni di età a quella di contribuzione. E che il tutto potrebbe essere accompagnato da un meccanismo premiale per chi invece decide di rimanere al lavoro dopo la maturazione dei requisiti. Ne andrebbe a beneficiare soprattutto il campo sanitario.

L’uscita con penalizzazione

L’uscita con penalizzazione è invece la proposta di FdI che consente l’uscita dal lavoro a 62 anni con 35 di contributi e penalità nella fetta retributiva prima dei 66 anni fino all’8% del totale. L’idea dell’uscita anticipata a 64 anni per tutti era sul tavolo anche del governo Draghi. In un’analisi diffusa a maggio scorso dalla Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, categoria di cui la neoministra Calderone era al vertice, si faceva invece riferimento ad una Quota 100 o 102 «flessibile». Ovvero una condizione che dovrebbe consentire l’uscita dei lavoratori di età compresa tra i 61 ed i 66 anni con almeno 35 anni di contributi. Di questa soluzione, secondo lo stesso studio, potrebbe fruire una platea di 470 mila lavoratori a cui verrebbe evitato lo scalone della legge Fornero.

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