La lettera a Salvini di una delle due mamme dopo il ricorso: «Non siamo una minaccia: basta giocare coi diritti dei bambini»

Il tribunale di Roma ha accolto il ricorso di due madri di poter mettere la dicitura «Genitore» sul documento della figlia andando contro il decreto del Viminale del 2019

«Padre e madre sono le parole più belle del mondo. Sono d’accordissimo con lei, ma non rappresentano noi e la nostra situazione familiare». Così inizia la lettera indirizzata a Matteo Salvini da Sonia, una delle due mamme della coppia Lgbt+ che ha ottenuto la sentenza dal tribunale di Roma che ha riconosciuto loro il diritto di essere identificate come «genitori» della propria figlia. Sonia è la madre biologica di una bambina concepita in Grecia con la fecondazione artificiale e nata in Italia. La piccola sta crescendo con due mamme e i giudici hanno accolto il ricorso delle madri di inserire la qualifica «genitore», e non madre o padre, sulla carta d’identità elettronica valida per l’espatrio della figlia. «Sono figlia di un padre e di una madre che mi amano infinitamente, ma la mia bambina ha due mamme che l’hanno desiderata, la amano e si prendono cura di lei tutti i giorni, esattamente come hanno fatto i miei genitori con me. Genitori, questo siamo», premette Sonia nella lettera. «Genitori -prosegue – agli occhi di nostra figlia che – dice con orgoglio e sicurezza a tutti che ha due mamme. Genitori nella vita quotidiana in cui entrambe abbiamo gli stessi diritti, ma anche gli stessi doveri nei suoi confronti». Ci tiene a specificare che anche la sua compagna è legalmente la madre della figlia. Pertanto, incalza: «Cosa ci sia di discriminante nella parola genitori, anziché padre e madre, nel chiedere che venga rispettata la nostra identità personale e familiare, questo proprio non riesco a comprenderlo, mi perdoni».


Da dove è nata la questione

La questione è finita in tribunale perché la richiesta della madri andava contro il decreto in vigore dal 31 gennaio 2019 emanato dall’allora ministro dell’interno Matteo Salvini che aveva imposto alle coppie omosessuali di identificarsi come «padre» e «madre». E la decisione provocò diversi problemi segnalati dal Garante per la Privacy che si era opposto alla scelta di sostituire la linea in vigore prima del 2019, ovvero di indicare la dicitura «Genitore» sulla carta di identità elettronica per gli under 14. Ma il Capitano si disinteressò della questione, annunciò il nuovo decreto e disse: «Utero in affitto e orrori simili assolutamente no. Difenderemo la famiglia naturale fondata sull’unione tra un uomo e una donna». Poi, ieri 16 novembre, ha twittato: «Usare sulla carta d’identità le parole PADRE e MADRE (le parole più belle del mondo) secondo il Tribunale Civile di Roma sarebbe una violazione delle norme comunitarie e internazionali, da qui la decisione di sostituirle con la più neutra parola “genitore”. Illegali o discriminanti le parole MAMMA e PAPÀ? Non ho parole, ma davvero». Ed è proprio su questo punto che Sonia vuole porre l’attenzione. «Non riesco a comprendere – scrive nella lettera – come la nostra legittima richiesta minacci la ‘famiglia tradizionale’, quella con cui tutti i giorni interagiamo dentro e fuori la scuola di nostra figlia, rapportandoci serenamente, oserei dire ‘normalmente’. Non capisco, ma sarà sicuramente un mio limite, come il fatto di chiedere che vengano difesi i nostri diritti voglia dire compromettere quelli della famiglia tradizionale». E continua raccontando che le famiglie cosiddette tradizionali con cui si interfacciano nel quotidiano hanno un atteggiamento accogliente nei loro confronti.


Sonia: «Ministro, la società è più inclusiva della istituzioni»

«La società, ministro, è molto più preparata, flessibile e inclusiva delle Istituzioni», sottolinea Sonia che riferisce come l’unico a non tutelare e rispettare la sua famiglia «è lo Stato che continua a negare la realtà e i diritti di centinaia di bambini, cittadini italiani, con due mamme e due papà». È concorde il giusto che ha emesso la sentenza, secondo il quale la soluzione della questione era di immediata percezione. Oltre al fatto che i funzionari dell’anagrafe avrebbero commesso falsi in atto pubblico «poiché un documento che indichi una delle due donne come “padre” contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà». La questione, che ha più sfaccettature, politiche, sociali e legali, rischia di essere semplificata. Ma Sonia, che è coinvolta in prima persona dalla vicenda, ci tiene a ribadire che «si tratta di bambini veri, in carne ed ossa, non ideologie o teorie su cui la politica può giocare» e che «è ora che le Istituzioni ne prendano atto e che si lavori davvero per tutti, esaltando ciò che unisce piuttosto che ciò che divide, facendo della molteplicità una ricchezza, dando a tutte le famiglie uguale cittadinanza».

Foto di copertina di Aiden Craver su Unsplash

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