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Addio a Gianluca Vialli: è morto il campione che raccontò senza paura la sua malattia

06 Gennaio 2023 - 10:30 Giada Giorgi
La morte dopo una lunga malattia: aveva il tumore al pancreas

Gianluca Vialli è morto all’età di 58 anni, dopo cinque anni dalla diagnosi di un tumore al pancreas. Calciatore, allenatore, commentatore sportivo e dirigente sportivo, Vialli è stato una delle icone del calcio degli anni Ottanta e Novanta in Italia. Con la Sampdoria ha fatto la storia, in coppia con Roberto Mancini – i due furono soprannominati i «gemelli del gol» – che tanti anni più tardi ha ritrovato in Nazionale: il Mancio come ct e lui come capo delegazione. Un ruolo che aveva lasciato il 14 dicembre, annunciando di aver bisogno di dover utilizzare tutte le energie psico-fisiche per affrontare la malattia. A dare la notizia il Secolo XIX.

La passione per il calcio e gli esordi

Ricci folti e fisico asciutto, l’adolescente di Cremona che fino a pochi anni prima aveva iniziato a dare calci al pallone nell’Oratorio di Cristo Re al Villaggio Po e poi nelle giovanili del Pizzighettone, nel 1978 a 16 anni viene acquistato dalla Cremonese, raggiunge la prima squadra e in tre stagioni mette a segno 23 gol in 103 partite. Nel 1984 il ds della Sampdoria Borea convince il presidente Mantovani a portarlo a Genova, dove l’intuizione di mister Bersellini sulle potenzialità da attaccante puro apre nuovi orizzonti alla sua carriera. Ambidestro, veloce, forte fisicamente e dotato di buona tecnica, poco più che ventenne il talento di Cremona esordisce in Serie A e comincia a giocare in attacco in coppia con Mancini. Alla fine della prima stagione la squadra genovese vince la prima Coppa Italia della sua storia con un gol di Vialli nella finale di ritorno. Un successo che porta Gianni Brera a coniare per l’atleta cremonese il soprannome di Stradivialli: secondo il giornalista, la sua arte calcistica aveva a che fare con l’armonia dei violini realizzati dal famoso concittadino Antonio Stradivari

Il no alle grandi società e il sodalizio con Mancini

Corteggiato dalle grandi del calcio italiano come Milan e Juve, Vialli rifiuta le avances di Silvio Berlusconi e dell’avvocato Agnelli: «Nelle grandi squadre, sei soprattutto un numero in funzione dei risultati. E a me, in questo momento, interessa essere soprattutto una persona», dice. Una decisione che si rivela giusta: Vialli rimane a Genova e con Vujadin Boskov in panchina diventa uno dei centravanti più prolifici e completi della Serie A. In otto campionati con la maglia blucerchiata gioca 213 partite e segna 85 gol, vince la Coppa delle Coppe del 1990, lo storico scudetto nel 1991, primo e unico della Sampdoria, tre Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Nel 1986 è Enzo Bearzot, ct dell’Italia campione del mondo ’82, a farlo esordire in nazionale, ai Mondiali in Messico. Ma l’apice della sua carriera in maglia azzurra arriverà con Azeglio Vicini che lo aveva già lanciato nell’Under-21, finalista agli Europei di categoria del 1986 contro la Spagna: sotto la guida del tecnico romagnolo, Vialli agguanta la semifinale contro l’Urss a Euro ’88, quindi il terzo posto ai Campionati del Mondo di Italia 90. Con lui l’amico della vita Mancini, un sodalizio sportivo che si rompe però nel 1992, quando Vialli cede alle avances della Juventus, e passa alla corte di Giovanni Trapattoni a fianco di campioni come Roberto Baggio. I due amici si ritroveranno professionalmente solo nel 2018, quando Vialli assumerà l’incarico di capo delegazione della Nazionale.

Alla Juve «il Michelangelo della Cappella Sistina»

In bianconero Vialli disputa quattro campionati, vincendo lo scudetto nel 1995, la Coppa dei Campioni l’anno successivo – che resta l’ultima conquistata dalla Juventus – e ancora una Coppa Intercontinentale, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. «È il Michelangelo della Cappella Sistina. Lo scultore che sa trasformarsi in pittore», dirà l’Avvocato Gianni Agnelli di lui, dopo aver paragonato i più grandi come Del Piero a Pinturicchio e Baggio a Raffaello.

Oltre la Manica, dal campo alla panchina

Nel 1996, all’apice del successo, Vialli cambia strada: saluta l’Italia e si trasferisce a Londra, sponda Chelsea. In Inghilterra, dopo due stagioni, passerà a sorpresa dal campo alla panchina, nell’inedita doppia veste di allenatore-giocatore dal febbraio 1998 alla stagione seguente. Alla guida dei Blues rimane fino al 2000, conquistando cinque trofei in quattro anni. Nel 2001 passa poi al Watford di Elton John, viene licenziato dopo una sola stagione e non siederà mai più su una panchina come Mister.

La dirigenza e la passione per la tv

Dopo la carriera da giocatore e allenatore, Vialli diventa per anni una risorsa fondamentale per la Federazione, mettendo a disposizione tutta la sua esperienza e sfidando la malattia diagnosticatagli nel 2017. Nominato nel 2019 dalla Figc, insieme a Francesco Totti, ambasciatore italiano per il campionato d’Europa 2020, di lì a pochi mesi ritorna il suo ritorno in Nazionale, stavolta in vesti differenti. Suo è l’incarico di capo-delegazione degli azzurri allenati dall’ex compagno Roberto Mancini: ufficialmente dirigente, ufficiosamente consigliere e supporto costante per l’amico fraterno. Nell’estate del 2021 prende parte al campionato Europeo vinto dall’Italia, risultato che i giocatori e il ct hanno dichiarato di aver raggiunto anche grazie a Vialli, figura fondamentale nello spogliatoio ed esempio di vita per tutti. In parallelo al ruolo di dirigente, diventa nel 2002 consulente per Sky Sport, di cui è poi anche commentatore tecnico e testimonial. Anni dopo, nel 2016 si lancia alla conduzione di un vero e proprio docu-reality Squadre da incubo con l’ex compagno Lorenzo Amoruso.

Il tumore al pancreas e il racconto libero della malattia

La battaglia contro il tumore al pancreas per Gianluca Vialli è durata cinque lunghi anni. Dalla diagnosi del 2017 non ha mai esitato a condividere con i tifosi la lotta quotidiana con la malattia, confidando spesso anche le paure più profonde. «Non so quando si spegnerà la luce che cosa ci sarà dall’altra parte. Certo ho paura di morire. Però mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita», ha detto in un’intervista televisiva. «Sono stato un giocatore e un uomo forte ma anche fragile e penso che qualcuno possa essersi riconosciuto. Sono qui con i miei difetti, le paure e la voglia di far qualcosa di importante», ha raccontato lo scorso anno quando sfidando la malattia aveva accompagnato da capo delegazione la Nazionale di Mancini agli Europei. Una sfida che Vialli è sempre stato consapevole di poter non vincere: «Io con il cancro non ci sto facendo una battaglia perché non credo che sarei in grado di vincerla, è un avversario molto più forte di me. È salito sul treno con me e io devo andare avanti, viaggiare a testa bassa, senza mollare mai», aveva detto, «sperando che un giorno questo ospite indesiderato si stanchi e mi lasci vivere serenamente ancora per tanti anni perché ci sono ancora molte cose che voglio fare».

L’annuncio

A metà dicembre, per la sopresa di molti, l’annuncio della sua assenza alle successive gare degli azzurri. Il campione aveva deciso di lasciare momentaneamente l’incarico da capo delegazione della Nazionale, non accompagnando Mancini e i suoi nei due match di qualificazione all’Europeo 2024 previsti a marzo 2023. «Al termine di una lunga e difficoltosa trattativa con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri». Tra le righe il riferimento a condizioni particolarmente critiche: «L’obiettivo è quello di utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia».

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