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Gianluca Vialli, il tumore al pancreas e il dottore che l’ha operato: «Il primo sintomo? Un ittero»

07 Gennaio 2023 - 05:44 Redazione
gianluca vialli tumore al pancreas malattia sintomi
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La patologia colpisce 14 mila pazienti all'anno. La prevenzione è molto complicata. Come funziona l'intervento

La malattia che ha portato via Gianluca Vialli è il tumore al pancreas. Si tratta di una patologia che colpisce circa 14 mila pazienti all’anno. Tra le vittime illustri ci sono il tenore Luciano Pavarotti e il fondatore di Apple Steve Jobs. Si localizza nel 70% dei casi sulla testa del pancreas, sul corpo per il 15-20%, sulla coda per il 5-10%. La malattia è attualmente la quarta causa di morte nelle donne e la sesta negli uomini, con una sopravvivenza a 5 anni di appena l’8%. Solo il 3% di chi si ammala riesce a sopravvivere 10 anni. La malattia si manifesta sotto diverse forme. La più comune è l’adenocarcinoma, ma in tutti i casi non si manifesta con sintomi riconoscibili. Per questo motivo uno dei problemi più grandi è la diagnosi, che molto spesso arriva quando il tumore è ormai in una fase avanzata e ha generato metastasi.

L’intervento

Alessandro Zerbi, responsabile dell’unità operativa di chirurgia pancreatica dell’Humanitas di Milano, spiega oggi che il primo sintomo di Vialli è stato un ittero. Ovvero l’ingiallimento della pelle e della parte bianca degli occhi. Ma l’Istituto Superiore di Sanità avverte che qualsiasi malattia che interferisca con il trasporto della bilirubina dal sangue al fegato e con la sua eliminazione può causarlo. Altri segni dell’ittero sono le feci chiare e le urine scure. Ce ne sono di tre tipi diversi. L’ittero intra-epatico e l’ittero post-epatico sono più frequenti nelle persone di mezza età e negli anziani rispetto ai giovani. L’ittero pre-epatico può colpire persone di tutte le età, compresi i bambini. Zerbi ha operato Vialli nel 2017. Di tumore del pancreas sono morte anche la prima astronauta americana Sally Ride e le attrici Anna Magnani e Mariangela Melato. Nel mondo del calcio Giacinto Facchetti, Giuseppe Meazza e Omar Sivori. «Quell’intervento di duodenocefalopancreasectomia era andato bene», ricorda oggi il dottore in un’intervista a Il Giornale. L’intervento consiste «nell’asportazione del duodeno e della testa del pancreas. È estremamente complessa». Perché «può dare infezioni, emorragie e fistole nelle prime settimane dopo l’intervento. La convalescenza non è rapidissima, ci vogliono alcune settimane». I fattori di rischio, spiega Zerbi, sono «il fumo, il sovrappeso, un’alimentazione ricca di grassi e povera di fibre e uno stile di vita sedentario. Anche la familiarità definita come avere due casi di parenti stretti che si sono ammalati di questo tumore». Il dottore sfata anche una leggenda metropolitana molto comune: «Non è vero che il tumore progredisce più lentamente se l’età del malato è più alta. Ogni tumore progredisce più velocemente o più lentamente a seconda di quanto è aggressivo. E quello al pancreas è un tumore molto aggressivo dal punto di vista biologico. Tanto che ha una prognosi mediamente peggiore degli altri».

Gli altri sintomi

Oltre all’ittero, gli altri sintomi del tumore al pancreas sono una pancreatite, ovvero un’infiammazione che dà dolori fortissimi. E un diabete improvviso, che di solito è sintomo di uno stadio precoce della malattia. Uno screening «purtroppo non c’è. Solo nel 10% dei casi, ovvero i pazienti che hanno familiarità con la malattia perché hanno avuto due parenti malati. Si possono fare controlli periodici: una risonanza magnetica all’anno per tenere sotto controllo la situazione. Solo nel 20-30% dei casi i pazienti se ne accorgono in tempo». In questi casi l’intervento più comune è «l’asportazione del pancreas. Altrimenti si ricorre a chemioterapia o altre cure e radioterapia. Dopo 5 anni dall’intervento sopravvive il 20/30 per cento dei pazienti poiché c’è un alto rischio di metastasi o recidiva: purtroppo è quello che è successo a Vialli».

L’oncologo e il tumore al pancreas

In un colloquio con l’agenzia di stampa Dire Michele Reni, professore associato di Oncologia dell’Università Vita e Salute e coordinatore dell’area oncologica Irccs San Raffaele di Milano, spiega che «l’unica terapia a bersaglio che era stato dimostrato avesse un certo vantaggio nel controllare la malattia più a lungo era il farmaco Olaparib, indicato per i pazienti Brca mutati. Ma l’Aifa non ha concesso la rimborsabilità e quindi ci impedisce di usarlo». Il tumore del pancreas, nota l’oncologo, «purtroppo non fa distinzioni. Colpisce un po’ tutti. Ed è una neoplasia in crescita dal punto di vista numerico. Di fatto noi abbiamo in cura pazienti di ogni età, dai 20 ai 100 anni. È vero che l’incidenza è maggiore nelle persone al di sopra dei 65 anni ma, in effetti, il cancro del pancreas colpisce tanti. Non c’è una categoria particolare di persone a rischio e questo rappresenta una delle difficoltà che incontriamo di fronte a questa malattia, perché non potendo identificare con precisione la popolazione a rischio, di fatto non possiamo fare screening».

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