Aggressioni in ospedale, il governo verso una direttiva per garantire l’intervento delle forze dell’ordine. I medici: «Basta turni di notte da soli»

Il ministro Schillaci pronto a presentare una proposta dopo l’ultimo caso della specializzanda aggredita a Udine

A distanza di poche ore dall’ennesima aggressione ai danni di un operatore sanitario, il ministro della Salute Orazio Schillaci intende proporre l’adozione di una direttiva che preveda l’intervento rapido delle forze dell’ordine in tutti i casi di violenza sui medici. A farlo sapere è il presidente della Federazione delle Aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), Giovanni Migliore, dopo un incontro avuto poche ore fa proprio con il ministro. «Schillaci si farà promotore presso il governo di una iniziativa per l’emanazione di una direttiva specifica da parte del ministero dell’Interno a tutte le Prefetture, per procedere in tempi certi e rapidi alla stipula dei protocolli operativi con le Aziende sanitarie per garantire interventi rapidi delle forze dell’ordine in caso di aggressioni», ha spiegato. L’ultimo grave episodio di violenza registrato dalla cronaca è quello ai danni di Adelaide Andriani, 28 anni, specializzanda in Chirurgia generale, vittima lo scorso 9 gennaio di un tentativo di strangolamento da parte dell’accompagnatore di un paziente all’esterno della Guardia Medica dell’ospedale Gervasutta di Udine. Nel post di denuncia della dottoressa anche le foto dei segni evidenti che l’uomo le ha lasciato sul collo: «Non è ammissibile rischiare la propria vita sul posto di lavoro perché non si è abbastanza tutelati, perché spesso il medico di continuità assistenziale viene considerato un medico di serie B», ha scritto Andriani.


«Esercito negli ospedali più a rischio e stop a turni di notte solitari»

Ma la dottoressa, che a seguito dell’episodio avrebbe espresso la volontà di voler cambiare lavoro, non è l’unico operatore sanitario ad aver subìto aggressioni nell’ultimo periodo. Pochi giorni fa a Bitonto un medico di famiglia è stato preso a calci e aggredito, riportando una frattura a una mano, da un paziente al quale il dottore avrebbe chiesto di attendere qualche minuto per la visita. In totale sono circa 2.500 i casi di aggressione o minaccia accertati ogni anno a danno degli operatori sanitari italiani. Quelli registrati da Inail tra il 2016 e il 2020 risultano più di 12mila. Per questo anche il presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo) ora avanza una proposta: «È necessario avviare una sperimentazione da estendere poi a tutto il livello nazionale», chiede Filippo Anelli: «prevedere la presenza dell’Esercito e delle forze dell’ordine innanzitutto nei presidi ospedalieri a maggior rischio perché in aree più disagiate, e poi stoppare i turni di notte nelle guardie mediche se si lavora da soli, prevedendo accordi con il sistema 118 per l’assistenza notturna», osserva. «Questo potrebbe rappresentare un modello efficace per contrastare il fenomeno delle aggressioni contro i medici ed i sanitari».


I possibili fattori scatenanti: «Nessuna giustificazione della violenza ma vanno comprese le cause»

A fornire un ulteriore punto di vista sui sempre più frequenti episodi di violenza sui medici è lo stesso Anelli, che commentando quanto accaduto alla dottoressa Andriani osserva: «Nulla, mai, giustifica la violenza ma, per prevenirla, è necessario comprenderne e rimuoverne i fattori scatenanti. Nella maggior parte dei casi le aggressioni nascondono un disagio dei pazienti, sottoposti a lunghe attese, e a carenza di informazioni». Abbandonati spesso in sale d’attesa senza sapere quando potranno ricevere le cure che spettano loro, molti cittadini si lascerebbero andare a un senso di frustrazione che diventa violenza. Nessun tentativo di giustificare, come ribadisce Anelli, ma l’urgenza di comprendere che quanto accade non è nient’altro che «l’altra faccia del disagio del personale, stremato dalla carenza di organico, da turni massacranti, dalla scarsità di tempo da dedicare alla comunicazione con i pazienti e con i parenti».

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