L’uomo che ha ucciso il vicino che voleva abbattere la sua casa con la ruspa: «È stata legittima difesa, ecco perché»

Sandro Mugnai dopo la scarcerazione: mai un alterco con Dodoli, mia madre litigò con lui perché suonava la batteria alle 2 di notte

Sandro Mugnai è l’uomo che ha sparato al cittadino albanese Gezim Dodoli, che stava assaltando il suo villino con una ruspa a San Polo, frazione di Arezzo. Il 5 gennaio scorso Mugnai ha sparato cinque volte affacciato dalla finestra. Alla base del gesto le liti tra vicini che andavano avanti da anni. Il giudice per le indagini preliminari lo ha scarcerato perché non sussistono gli elementi per la custodia cautelare. E lui oggi in un’intervista al Corriere della Sera spiega le ragioni del suo gesto. «Ho agito per salvare la mia famiglia. Quell’uomo stava facendo crollare la nostra casa. Eravamo in trappola come topi. Non avevo altra scelta», spiega a Marco Gasperetti.


La vicenda

Secondo le ricostruzioni di questi giorni Mugnai deteneva regolarmente il fucile. Nel tempo libero infatti si dedica alla caccia al cinghiale. L’uomo si trovava in casa con la famiglia quando Dodoli, imprenditore edile, ha cominciato a colpire la facciata della casa. Prima ha travolto quattro automobili parcheggiate davanti al casolare. Poi ha distrutto l’ingresso e una finestra, danneggiando gravemente le mura. E bloccando l’uscita, cosa che secondo Mugnai ha impedito alla sua famiglia di scappare fuori. «A quel punto ho preso il fucile da caccia. Pensavo che forse sarei riuscito a spaventarlo. A farlo ragionare», racconta oggi. A quel punto ha sparato un primo colpo d’avvertimento a terra. Ma Dodoli ha continuato a colpire la casa con la ruspa. E lui lo ha colpito: «Tre colpi, forse quattro. Ho salvato le vite della mia famiglia e la mia. Piango ancora per lui ma non c’erano altre possibilità».


La batteria

Mugnai sostiene anche che non vi fossero motivi di alterco precedenti con il vicino. «C’era stato un litigio un mese fa con mia madre perché lui suonava la batteria alle 2 di notte. Nient’altro. Io continuavo a salutarlo», spiega mentre lo assistono i suoi legali Marzia Lelli e Piero Melani Gaverini. «Ho la fedina penale candida, sono un uomo per bene, un volontario, mi piace aiutare le persone. Adesso ci sono stato quattro giorni in galera. Ero in isolamento, ed è stata una esperienza terribile. Ma neppure per un attimo ho pensato di essere colpevole», conclude. E infine, sull’esperienza del carcere: «Gli agenti di custodia sono stati straordinari. Cercavano di farmi coraggio. Mi dicevano di stare tranquillo, di non essere così disperato, che probabilmente sarei uscito presto e avrei potuto riabbracciare mia moglie e i miei figli. Hanno avuto ragione loro. Li ringrazio tantissimo come ringrazio il giudice che mi ha scarcerato».

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