Matteo Messina Denaro, i trent’anni di tentativi (falliti) di catturare il boss

Dalle perquisizioni nelle abitazioni di famiglia alla stretta sui fiancheggiatori: tutte le volte che “Diabolik” è riuscito a svincolarsi dagli inquirenti

Sono 30 gli anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, il boss arrestato questa mattina 16 gennaio presso la clinica privata La Maddalena di Palermo. Il numero 1 di Cosa Nostra è diventato irreperibile subito dopo la cattura di Totò Riina nel 1993. In quei giorni inviò una lettera alla sua fidanzata dell’epoca annunciando l’inizio della sua latitanza: «Sentirai parlare di me, mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità». In parallelo alla sua fuga, le autorità iniziarono così i tentativi di cattura del boss per associazione mafiosa, omicidio, furto, detenzione e trasporto di esplosivo. Tentativi falliti in cui si sono esercitati per decine di anni ministri dell’Interno, investigatori e magistrati. Per l’efficacia di questa latitanza record, Matteo Messina Denaro si era circondato di una rete fiancheggiatori, su cui gli investigatori hanno stretto una tenaglia micidiale in questi anni con continui arresti. Oltre ad aver prestato estrema attenzione nelle modalità di comunicazione, a cominciare dall’intercambiabilità dei soprannomi con cui ci si riferiva a lui: Diabolik, o’siccu, olio, Alessio, iddu.


Dall’irruzione a vuoto alla collaborazione con il sindaco di Castelvetrano e gli arresti in famiglia

Nel 1997 gli inquirenti fecero irruzione in una casa ad Aspra (Palermo) perché avevano individuato che una ragazza si vedeva quotidianamente con un latitante. Ma quando entrarono non trovarono nessuno. Si ritiene che quel latitante fosse Matteo Messina Denaro, ma che qualcuno l’avesse avvertito per tempo. Nel 2004 i servizi segreti avevano provato a intercettare “Diabolik” tramite l’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino, indagato per associazione mafiosa. Quest’ultimo aveva tentato di tendergli una trappola proponendogli importanti affari con alcuni appalti pubblici, ma all’indomani dell’arresto del ricercato Bernardo Provenzano, il quale custodiva i pizzini del boss, Denaro bloccò la corrispondenza. Prima, gli inviò un ultimo pizzino consigliandogli di «condurre una vita trasparente in modo da non essere coinvolto nelle indagini». Uno dopo l’altro, tutti i componenti famigliari vennero arrestati, ovvero i cognati, uno dei quali recentemente scarcerato e un altro morto in carcere, il fratello, anch’egli recentemente tornato in libertà, la sorella Patrizia e alcuni cugini e nipoti.


La stretta sui fiancheggiatori

Nel 2009 venne avviata la nota operazione “Golem“, su coordinamento delle questure di Trapani e Palermo, in cui vennero arrestate 13 persone che avevano aiutato Denaro nella latitanza, attraverso documenti e con la gestione di estorsione e traffico di stupefacenti per conto suo. Un anno dopo, la direzione distrettuale antimafia di Palermo diede il via a una “Golem 2“, sempre su coordinamento di Trapani e Palermo, e vennero arrestate altre 19 persone vicine al numero 1 di Cosa Nostra. A luglio 2020, il quotidiano La Repubblica fece trapelare la notizia – citando le dichiarazioni del pentito Manuel Pasta – che Messina Denaro aveva partecipato alla partita Palermo – Sampdoria del 9 maggio di quell’anno, riferendo che l’incontro allo stadio sarebbe stato solo una parte di una serie di meeting con altri mafiosi palermitani. Questo diede il segnale agli inquirenti che con buona probabilità il boss non fosse lontano. Negli anni è continuata la stretta sui suoi fiancheggiatori, nel tentativo di riuscire ad arrivare prima o poi a lui. Nel 2018 vennero infatti arrestati 12 esponenti mafiosi che si sarebbero occupati del mantenimento di Messina Denaro.

La perquisizione in casa della madre, lo scambio di persona

L’anno successivo, nelle indagini sulla sua latitanza, gli investigatori riuscirono ad avvicinarsi ancora di più, prima arrestando due carabinieri per favoreggiamento, poi scoprendo una loggia massonica a Castelvetrano. Le indagini si ampliarono poi anche in altre città d’Italia, come Milano e Roma. Nel 2020 cresce ancora il numero di fiancheggiatori arrestati, come Salvatore Nicitro, uno dei boss della Banda della Magliana, che si riteneva stesse finanziando la latitanza di Denaro. Lo stesso anno la polizia effettuò decine di perquisizioni nelle abitazioni, tra cui quella della famiglia Denaro a Castelvetrano, in cui abitava la madre del boss e in cui risultava la residenza anagrafica del capomafia.

Nel 2021 avviene un primo arresto, rivelatosi poi un semplice scambio di persona. Il 13 settembre un uomo venne fermato in un ristorante in Olanda e si pensava fosse in numero 1 di Cosa Nostra, in realtà un turista particolarmente somigliante. L’1 ottobre di quell’anno sono state eseguite ulteriori perquisizioni per trovare altre persone riconducibili al favoreggiamento della latitanza del numero 1. Nonostante i tentativi di avvicinamento sempre falliti, gli investigatori hanno sempre ritenuto che il boss non si fosse allontanato dal suo territorio. E oggi, dopo una latitanza storica, Matteo Messina Denaro ha tentato nuovamente la fuga. Era riuscito ad allontanarsi ancora una volta, ma arrivato in un bar è stato individuato e catturato. A Palermo, nella sua regione.

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