Un bicchiere di vino fa male alla salute? L’epatologo Testino: «Sbaglia chi banalizza. Le etichette con i rischi opportune anche in Italia» – L’intervista

«Chi banalizza lo fa per stare più simpatico alla gente», ha spiegato il medico e presidente della Società Italiana Alcologia a proposito delle polemiche sui rischi legati all’assunzione di alcol, che hanno visto tra i protagonisti Matteo Bassetti e Antonella Viola

Mentre l’Unione Europea frena e tranquillizza sulle etichette di avvertimento per la salute da incollare sulle bottiglie di alcolici, «perché un bicchiere di vino piace a tutti», gli esperti di casa nostra hanno già approfittato per il botta e risposta sull’effettiva necessità di una messa in guardia simile a quella dell’Irlanda. Paese in cui i produttori di vino e birra in primis dovranno, proprio come con le sigarette, prevedere etichette che ricordino al cittadino i rischi che corre consumando ogni bevanda alcolica. Realismo o demonizzazione? Sul primo fronte c’è Antonella Viola, che pochi giorni fa ha ribadito lo stretto collegamento dell’alcol con i tumori, con l’effetto di riduzione del cervello e con un dosaggio di alcol che non deve necessariamente essere alto per provocare danno. Sull’altro Matteo Bassetti che immortalandosi con un bicchiere di rosso ha invitato la collega a non creare falsi allarmismi. Un dibattito che ha bisogno di chiarezza soprattutto per il consumo di alcol che milioni di persone di ogni età fanno quotidianamente, anche soltanto a tavola o durante l’aperitivo. Per questo il presidente della Società Italiana Alcologia Gianni Testino, medico del San Martino di Genova e coordinatore del Centro alcologico della regione Liguria, interpellato da Open, è deciso a ristabilire il punto del discorso «per rispetto del servizio che dobbiamo ai cittadini».


Professore, veniamo al dunque: bere anche un solo bicchiere di vino al giorno può far davvero così male come si sta dicendo?


«Intanto mi permetta di dire che la contrapposizione tra colleghi e fazioni è davvero preoccupante, perché penso ai cittadini che fanno un altro mestiere dal nostro. Quanto entrano in confusione in questi casi? La pandemia ci ha insegnato molto su questo: non è tanto importante l’opinione del singolo scienziato ma la posizione della comunità scientifica. Anche sui vaccini c’erano i contrari, la comunità ha preso una posizione netta sul fatto che sarebbero stati utili per combattere la catastrofe che ci è piovuta addosso. Bene, il metodo scientifico va usato sempre e non a intermittenza. La prima cosa sono i dati, sempre».

E cosa dicono questi dati?

«Che siamo di fronte a un problema serio: le bevande alcoliche rappresentano la terza causa di morte e disabilità nella popolazione adulta e e la prima causa di morte e distruzione al di sotto dei 24 anni per incidentalità stradale, violenza e intossicazione acuta, coma etilico. Numeri importanti. Ma c’è di più. Dal 2008 la comunità scientifica ha inserito nel gruppo 1 dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, e cioè nella lista di tutte le sostanze che hanno un rapporto causale certo con il cancro (in tutto 120), anche l’etanolo. E cioè la sostanza alla base di tutti i prodotti alcolici: vino, birra, superalcolici. Una scelta che la scienza non prende sotto gamba: prima di inserire una sostanza in un elenco del genere ci pensa 30, 40 anni, proprio per il peso di quello che sta comunicando anche ai cittadini. Nella lista è presente anche l’acetaldeide: un prodotto di metabolizzazione dell’etanolo nel nostro organismo. In tutte le bevande alcoliche abbiamo la cosiddetta acetaldeide libera, una molecola aromatizzante che se fosse trovato nello yogurt, comporterebbe il ritiro immediato dal commercio. E poi si è deciso di inserire anche bevande tout court proprio per far comprendere che non esiste un livello soglia di sicurezza».

Questo vuol dire che non esiste un bere “moderato” che non provochi danni?

«Esattamente. Con questo nessuno dice che non dobbiamo più vendere alcol, che dobbiamo censurare chi consuma, o che siamo in uno stato ascetico ma che i cittadini devono sapere la verità. Se l’Irlanda ha deciso di scrivere sulle etichette che l’alcol ha un rapporto causale con il cancro ne ha tutto il diritto. E le diro di più, vista la portata del problema, dovremmo farlo anche noi».

Qual è il rapporto tra alcol e cancro? Anche in questo caso la consumazione moderata non può far star tranquilli?

«Nel 2020 nell’Europa occidentale ci sono stati 57mila nuovi cancri da alcol. In Italia nel 2020 ci sono stati 10mila nuovi casi totalmente attribuiti all’alcol di cui 2mila per dosaggi bassissimi, (circa 1 bicchiere al giorno per la donna e meno di 2 per l’uomo), 4.600 per i dosaggi intermedi (dai 2 bicchieri ai 4), 3.400 nuovi casi fra gli alcolisti. Tra questi ultimi non ce ne sono molti di più rispetto ai dosaggi bassi per il semplice motivo che non è solo la quantità che conta ma anche come reagiamo alla sostanza alcolica: ecco spiegato il motivo per cui non esiste un dosaggio soglia di sicurezza se si parla di un cancerogeno. Se una ragazza adolescente consuma 1 o 2 unità alcoliche a settimana e cioè 12-24 grammi di etanolo a settimana raddoppia e triplica il rischio di sviluppare un tumore benigno della mammella nella fase di costruzione anatomica del seno. Una volta diventata donna matura quell’adolescente sarà invece maggiormente a rischio di sviluppare un cancro maligno della mammella.

Senza contare che l’unica causa riconosciuta come volontaria e quindi evitabile del tumore alla mammella è l’alcol: con una media di meno 12 grammi al giorno, meno di un bicchiere di vino o di una birra media o di un aperitivo, aumenta il rischio di tumore in una donna sana e senza predisposizioni del 7%. Una percentuale di partenza che in presenza di predisposizione genetica, con lo stesso dosaggio, passa al 27%. Informazioni che vanno dette alle persone. Tutti gli alimenti possono essere consumati, ma ci sono delle linee guida che ci suggeriscono come farlo».

Da quello che sta spiegando però la linea guida nel caso dell’alcol sarebbe praticamente pari a zero.

«Da medico le dico di sì. Se un mio paziente o un cittadino mi chiedesse quanto dovrebbe bere per rimanere in salute, gli risponderei zero. Se un cittadino mi chiedesse quanti cannoli siciliani può mangiare posso suggerirglielo, ma se il dubbio è su quanto amianto può ricevere non posso suggerirglielo perché sarei un criminale».

L’etanolo come l’amianto?

«Nelle 120 sostanze che le citavo prima e che hanno un rapporto causale certificato con il cancro c’è anche l’amianto. Quindi sì. E con esso anche il benzene e le radiazioni. Ecco perché la storia del vino doc, della birra dop è una balla. Non esiste un un etanolo di qualità. Casomai la palatabilità del prodotto che però non ha nulla a che fare con il punto di vista oncologico».

Chi beve sviluppa un cervello più piccolo?

«L’etanolo è una sostanza psicoattiva che rende la bevanda attrattiva e trascinante. A livello cerebrale riduce la massa grigia, la assottiglia e assottiglia l’amministratore delegato del nostro cervello, che è la corteccia frontale e prefrontale. Da sostanza psicoattiva va ad alimentare le regioni più arcaiche del cervello, emozioni e istinti, a scapito di un giusto rapporto con le zone più evolute. Ecco perché bere da giovani rischia di cristallizzare il cervello in una sorta di adolescenza perenne, e succede a tanti adulti. Capisce quanto non sia il caso di alleggerire il discorso?».

E quell’idea che un bicchiere di vino a pranzo può far bene a cuore e arterie?

«Sono tutte balle, informazioni nate negli anni passati usati dai produttori a loro favore. Molti dei lavori scientifici sul rapporto tra cuore e alcol parlano dei grandi effetti benefici del resveratrolo, presente nella buccia d’uva, sperimentato sui topi. Una sostanza certamente positiva presente nei mirtilli, nei lamponi, in diverse verdure. Ma se noi trasformiamo il resveratrolo in vino e il corpo di topo in uomo, la cosa non funziona più. Per avere il dosaggio che ci fa bene al cuore attraverso il consumo di vino dovremmo berne più di 200 litri al giorno. Del tutto surreale. Questo lo dico avendo zero problemi con i produttori che vendono e hanno il loro mercato. Ma anche riguardo il cuore, no, non possiamo collegare il concetto di etanolo alla salute. E’ chiaro che chiunque viene attratto dalla sostanza psicoattiva alcol: non serve essere alcolisti. Per questo diventa anche un lutto liberarsene, diventiamo i maggiori difensori dei nostri persecutori. E questo influisce sulla percezione anche del ruolo del medico. Se io e la profesoressa Viola mettiamo in guardia sui pericoli diventiamo antipatici».

Vuol dire che quello di Bassetti è un tentativo per diventare più simpatico?

«Non faccio nomi di colleghi, dico solo che il nostro compito è quello di essere onesti, con noi stessi e con i pazienti. I medici non hanno bisogno di essere né simpatici né antipatici. Dobbiamo spogliarsi nelle nostre opinioni personali per rientrare nella cosiddetta evidenza scientifica. L’altra cosa che trovo assurda è che personaggi come Sgarbi e altri considerino l’etichettatura degli alcoli come censura. Assurdo».

Ma quindi lei non beve neanche un bicchier di vino a pranzo?

«Super alcolici e vino non mi sono mai piaciuti, ma da giovane mi piaceva la birra. Mi sono iscritto a medicina, ho capito come stavano le cose e mi sono chiesto perché dovevo continuare a farmi così del male. Assicuro che si può vivere benissimo senza alcol e senza fumo di sigaretta. Non mi sento certo infelice».

Nessuna demonizzazione nel modo di comunicare il pericolo, anche sulle etichette?

«Si sta solo dicendo la verità. L’etanolo è un cancerogeno, meno ne bevi meglio è, se non lo bevi tanto di guadagnato. Non c’è bisogno di demonizzare. Non credo che ci sia qualcuno che dica che c’è la mafia moderata. So bene quello che vedo quando curo i miei pazienti».

Cosa vede nel suo reparto?

«Vedo fegati ammalati da alcol, cirrosi epatica, persone che necessitano di trapianto di fegato e che non necessariamente sono alcoliste. Ci sono diabetici che bevevano quantità moderate di alcol, pazienti con sindromi metaboliche che con il mix dell’alcol hanno sviluppato cirrosi. Poi ci sono gli alcolisti ma chi beve davvero quantità enormi di alcol muore prima, ha altri problemi. Oggi il gioco facile è quello di derubricare il problema alcol o ai giovani “cattivi”, (che semplicemente nascono in una società dove c’è alcol da tutte le parti) oppure all’alcolista che se l’è cercata. Ma non è cosi. Spendiamo tutti gli anni 25 miliardi di euro per danni da alcol, per ogni euro che i produttori guadagnano ne spendiamo due in sanità. Non mi dirà che siamo tutti alcolisti».

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