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Alcol e salute, Cotarella (Assoenologi): «Terrorismo inutile, da Da Vinci a Leopardi: i migliori cervelli amavano il vino» – L’intervista

24 Gennaio 2023 - 19:10 Giada Giorgi
Il presidente mondiale degli enologi ed enologo personale di personaggi noti (Sting, Bruno Vespa, Massimo D'Alema), commenta con Open le preoccupazioni rispetto alla pericolosità del vino

L’Irlanda attacca etichette per avvertire sui grossi rischi di salute; l’Ue prima asseconda l’iniziativa, poi tranquillizza i Paesi sul piede di guerra, «perché un bicchiere di vino ogni tanto piace a tutti»; l’Italia, tra i primi produttori al mondo, si oppone non con poca preoccupazione. Come se non bastasse la comunità scientifica si divide tra chi mette in guardia sulla pericolosità di bere anche un solo bicchiere di alcol, e chi frena parlando di inutile demonizzazione. Dopo aver consultato l’etanologo, presidente della Società Italiana Alcologia, Gianni Testino, Open ha parlato della questione con uno dei nomi più prestigiosi dell’enologia italiana, Riccardo Cotarella. Presidente mondiale degli enologi, nonché dell’Associazione enologi ed enotecnici italiani (Assoenologi), docente di enologia e vinicoltura all’Università degli Studi della Tuscia, enologo personale di personaggi noti, Sting, Bruno Vespa, Massimo D’Alema, è conosciuto come il re Mida dell’uva.

Sul vino si è aperto un dibattito che riguarda milioni di consumatori e altrettante persone impegnate nel settore. Berne anche un solo bicchiere fa davvero così male?

«Non sono ovviamente un medico. Ma da enologo e 56 anni anni di attività, continuo a chiedermi intanto come sia possibile la presenza di posizioni così contrastanti tra scienziati. Rimango sbalordito dall’affermazione categorica dello «zero vino» della dottoressa Viola, senza contare quella più buffa di tutte sulla capacità della bevanda di rimpicciolire il cervello. Se si fa un giro nel passato, tra i più famosi cervelli italiani: Leonardo Da Vinci, Rita Levi Montalcini, Giacomo Leopardi, Mario Soldati, erano tutti amanti del vino e di quello che rappresentava prima che bevitori moderati. Leonardo produceva egli stesso. Ecco mi dica lei se queste sono persone con un cervello ridotto».

Al di là dei geni italiani, e per questo possibili eccezioni, qui la questione riguarda una buona percentuale di popolazione “comune” ora legittimamente confusa anche su quell’unico bicchiere di vino al giorno che finora si è concessa.

«Anche qui mi chiedo, ma perché si parla solo di vino e non di alcol in generale? E’ ora di smetterla. Il vino contiene si e no un quinto dell’alcol rispetto alle altre bevande. Non comprendiamo questo accanimento su un prodotto così rappresentativo del nostro Paese e troviamo indecente il tentativo di acquisire visibilità giocando su un’identità culturale e di tradizione così importante. Se avessero messo in guardia sulla pericolosità dell’alcol, se avessero raccomandato su un consumo moderato, entrando anche magari nello specifico invitando a non bere lontano dai pasti, o di mantenere un consumo intelligente anche durante il pranzo e la cena, avremmo applaudito. Ma come si fa ad accettare questo terrorismo becero? Per questo se ci sarà da battagliare, lo faremo, noi enologi siamo sul piede di guerra».

Prima ha usato l’espressione “bevitori moderati”. Il consumo non eccessivo è un altro punto chiave della questione: l’etanologo Testino, interrogato da Open, spiegava come non esista una soglia di sicurezza per evitarci dei danni. Cosa intende per moderazione?

«Quello che noi enologi sosteniamo da anni è la visione di un vino da degustare e non da bere. La parola moderazione in effetti non è la più adatta perché la quantità giusta dipende da molti fattori: cosa mangiamo, se stiamo mangiando, se abbiamo patologie. Io utilizzerei un’altra parola: consumo intelligente, che tenga conto delle esigenze del nostro organismo e del contesto in cui siamo. L’intelligenza sta poi nell’informarsi su che cosa si sta bevendo, oggi i nostri smartphone sono in grado di dirci tutto su provenienza, vigneto, fermentazione. L’obiettivo è accostarci a un vino, qualunque esso sia, già con la mente sazia della cultura che ci siamo fatti. su di esso. Questo è un altra chiave per assicurarci un consumo intelligente.

Andando nello specifico, il dottor Testino ci spiegava come l’etanolo sia stato inserito dall’Oms nelle 120 sostanze che hanno causalità certa con il cancro, insieme ad amianto e benzene per esempio. Come legge da enologo questo dato?

«Quello che si fa con questo dato è terrorismo. Perché è come dire che fumare una sigaretta alla settimana provoca il cancro. Certo può anche darsi ma è vero anche che il soggetto che ne fuma cento non ha mai avuto un tumore. Questo per dire che ci sono tante variabili ed elementi da prendere in considerazione e che certo messi insieme possono portare a gravi malattie. Se sto sotto un tetto d’amianto, se bevo grosse quantità di alcol tutti i giorni, se respiro benzene quotidianamente, me la vado a cercare. Ma qui si parla di consumo intelligente.

E poi le dirò un’altra cosa. La dieta mediterranea, patrimonio dell’Unesco e non l’invenzione di quattro amanti dell’alcol a caso, prevede un bicchiere di vino ai pasti per gli uomini, uno a cena e uno a pranzo, e uno per le donne. E questo non è stato stabilito nel ‘700 ma nel 2010. Va da sé che le sentenze di questi giorni e le restrizioni invocate non sono accettabili. A proposito di alimentazione, tempo fa sono andato in Irlanda, una sera ho mangiato il tipico stufato irlandese. Ho impiegato due giorni per digerirlo, il fegato ha lavorato molto ma ce l’ha fatta e non sono morto. In quello stufato non c’era acetaldeide come nel vino ma c’erano grassi. Se io mangiassi tutti i giorni stufato, il mio fegato esploderebbe. Questo per dire che non possiamo trasmettere l’idea di un alimento, liquido o solido che sia, mortale a prescindere. Starà ancora una volta tutto nella moderazione».

La Società Italiana Alcologia ha invocato l’introduzione delle etichette anti alcol anche in Italia. Pensa che potrebbe succedere?

«Devo dire che finora il nostro Paese ha fatto sentire la propria voce nel mondo giusto. Ci stiamo difendendo bene, non possiamo essere silenti: se facessimo passare questo obbrobrio faremo un danno al Paese e direi anche alla verità. Se uno ama il vino e ne ha cultura non si fa convincere da questo terrorismo. L’Italia è una grande sorgente di approfondimento: centinaia di migliaia di persone nel nostro Paese vogliono imparare sul vino, non solo enologi ma anche tanti cittadini che fanno nella vita altri lavori e che si iscrivono a corsi da sommelier, a percorsi di formazione. Anche per questo sta nascendo una certa ribellione e risentimento di fronte alle affermazioni scriteriate degli scienziati della domenica».

54 anni da enologo ma anche da imprenditore. Cosa significa in termini di produzione un dibattito complicato come quello a cui stiamo assistendo sia a livello nazionale che internazionale?

«Questo è un aspetto che non avrei toccato, l’ultima cosa che voglio è che si affronti l’argomento con l’idea di una posizione sostenuta in nome di un tornaconto economico. Se sapessi di produrre veleno non starei a guardare certo al bilancio. Per rispondere alla sua domanda parliamo solo per l’Italia di un mercato di 17 miliardi di fatturato, di cui 7 miliardi all’estero. Con circa 1 milione e 200mila persone impiegate. Ma ripeto, siamo in un momento in cui anche questo aspetto passa in secondo piano, la priorità è chiarire questa becera visione del vino come un killer per l’organismo umano. Un appello che a questo punto facciamo con grande fermezza alla comunità scientifica: vogliamo la verità, non può esistere un’opinione soggettiva su un tema così importante. Fermo restando che dalla nostra lunga esperienza siamo convinti che un consumo moderato non rechi alcun danno.».

Le capita spesso di rappresentare l’Italia nel mondo con prodotti, che al di là della questione sanitaria di cui abbiamo parlato finora, sono e rimangono d’eccellenza. C’è un episodio da poter condividere?

«Uno che non sono riuscito più a togliermi dalla mente. 1999, Parigi: mi trovavo in un incontro con i presidenti enologi di 12 paesi del mondo. Decidiamo di fare una degustazione ognuno portando un proprio vino. Proposi agli altri 11 di farlo “alla cieca”, senza che nessuno sapesse nulla dell’etichetta e di chi l’avesse portato. Non le nascondo che ero un po’ preoccupato visti i mostri sacri che c’erano. Decisi di portare un rosso della Campania, non posso dirle qual è per rispetto alle altre aziende. Tutti assaggiarono a etichetta coperta e quello italiano spopolò. Ovviamente ogni Paese cominciò ad accreditarselo, io avevo riconosciuto che si trattava del mio, ma da buon umbro e francescano, rimasi umile. Alla scoperta delle etichette ci fu uno dei momenti più soddisfacenti della mia carriera, l’orgoglio dell’eccellenza italiana era a i massimi livelli».

Non si può proprio sapere di quale vino si trattasse?

«Un rosso, campano, di un’azienda neanche troppo famosa. E anche di una zona non troppo nota. Ma basta ho detto troppo».

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