Come raggiungere l’immortalità con la musica: il caso “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd

Il primo marzo 2023 compirà 50 anni il terzo album più venduto di sempre. Che ancora oggi batte record su record di permanenza nelle classifiche. Piccola storia di un pezzo di eternità nell’era del fatuo. E dello streaming

Cosa sono cinquant’anni davanti all’eternità? Come nella migliore delle tradizioni commerciali quel che resta dei Pink Floyd festeggerà con una nuova edizione il mezzo secolo che compirà il primo marzo prossimo l’album The Dark Side of The Moon. Cd e vinile in una nuova versione rimasterizzata del 2023, la versione blu-ray e il dvd audio con un mix 5.1 e le versioni stereo. E ancora: l’esecuzione dell’opera alla Wembley Empire Pool di Londra del 1974, un booklet di foto, un libro, i singoli in versione 7 pollici oltre ai leggendari poster e alle cartoline che l’hanno accompagnato dalla prima versione. Il tutto al modico prezzo di euro 300. Ma se l’annuncio ha portato i fans storici a polemizzare sullo “sfruttamento” del mito, con accuse a David Gilmour o a Roger Waters a seconda delle fazioni, l’evento può servire a raccontare come si fa a diventare eterni nell’era dello streaming.


I record

Perché l’incredibile successo commerciale di TDSOTM è qualcosa che ancora oggi appare ai più incomprensibile. Non tanto per il numero enorme di copie vendute (tra i 50 e i 60 milioni a seconda delle stime) che ne hanno fatto il terzo album più venduto della storia (dopo Thriller” di Michael Jackson e “Back in Black” degli AC/DC). Ma più che altro per come si è sviluppato questo successo. Ovvero in nome della longevità. All’uscita mantenne il primo posto della Billboard 200 (la classifica degli album più venduti negli Stati Uniti) solo sette giorni, ma poi rimase per 741 settimane consecutive (ovvero per 14 anni) nei primi cento posti. Ha totalizzato 930 settimane di permanenza in Usa, per 1100 ha fatto capolino nella Top Pop Catalog Album. Le nuove versioni in cd e sacd del 2003 sono arrivate ancora al primo posto in classifica negli Stati Uniti. E ancora: tutti gli anni la sua versione in vinile è tra le più vendute in paesi come l’Italia, dove supera regolarmente gli album degli artisti di oggi. Si stima che ancora oggi si vendano tra le 8 e le 9 mila copie minimo ogni settimana. Gli audiofili lo usano per provare i loro impianti da migliaia e migliaia di euro. C’è chi entra per la prima volta in un negozio di dischi solo per comprarlo. Nell’era della musica liquida (e degli ascolti in prestito) una longevità del genere è inspiegabile. O forse no.


Le origini

Quando cominciano a lavorare a Dark Side i Pink Floyd sono un gruppo in ascesa. A Meddle ha fatto seguito Live at Pompei, il documentario-concerto di Adrian Maben girato nel sito archeologico campano. Nella prima versione del film (ma in quella del 1974 sì) non compaiono gli abbozzi di Brain Damage ed Eclipse, ovvero le due canzoni che chiuderanno l’album. Il problema è che i Pink Floyd che hanno da anni sostituito il Crazy Diamond Syd Barrett con la Stratocaster blues e psichelica di David Gilmour sono un gruppo d’élite. Il pubblico dei loro light-show è fatto soprattutto di intellettuali. Comprensibile, visto che intanto loro hanno sperimentato tanto: dalla canzone fatta di un solo verso e un crescendo (Careful with that Axe, Eugene) alle suite progressive (Atom Heart Mother). Dalle canzoni che occupano un intero lato di un disco (Echoes) a quelle fatte dei suoni di una colazione all’inglese in preparazione (Alan’s psichedelic breakfast). Per il nuovo disco in studio Waters ha un’idea: il prossimo sarà un concept album. Ovvero un’opera riunita attorno a un’idea: parliamo delle cose che fanno impazzire la gente. «Dobbiamo scendere un poco sulla terra. Essere un po’ meno distanti da quello che ci coinvolge», dice Waters in un’intervista del 1971.

Concept album

Successivamente lo studente di architettura diventato bassista e cantante è stato più preciso: «Pensavamo che avremmo potuto fare una cosa sulle pressioni per arrivare in cima. La pressione per i guadagni. Il tempo che passa così veloce. Le strutture organizzate del potere, come la Chiesa e la politica. L’aggressività». Poi c’è anche un fatto biografico. Quel Barrett che aveva inventato il nome e scritto l’intero primo album dei Pink Floyd dà chiari segni di squilibrio. Ha lasciato la musica. Non si taglia barba e capelli. Quando incontra Waters per caso da Harrod’s scappa via terrorizzato e lascia cadere a terra due buste piene di caramelle. Syd sta arrivando sul “lato oscuro della luna”, dove fin dal Medioevo finisce il senno dell’Orlando Furioso. Mentre la sua band “sta suonando altre canzoni”. Questo è il primo album nel quale Roger scrive tutte i testi. E i Floyd ne suonano una prima versione il 17 febbraio del 1972 al Rainbow Theatre di Londra. Ovvero un anno prima della sua pubblicazione. La prima versione dell’opera è oscura, floydiana nel senso più tetro del termine. E continuare a suonarla dal vivo porterà i quattro a decidere che nella versione da studio qualcosa dovrà cambiare. Ci saranno i cori femminili, i fiati, un arrangiamento più “pulito”. Ma le canzoni, che non avranno durate monstre, saranno tutte attaccate: una comincerà quando sfuma l’altra. Così da avere una storia che inizia e finisce.

L’opera

Quando nel maggio 1972 entrano per la prima volta negli storici Abbey Road Studios al mix c’è anche un tecnico del suono. Si chiama Alan Parsons, ha lavorato con i Beatles e successivamente diventerà anche lui una rockstar. La registrazione degli effetti sonori (competenza assoluta del batterista Nick Mason) comprende monete tintinnanti, fogli strappati, un set completo di orologi che deve suonare nello stesso momento (e per questo si farà in un negozio di antiquariato), un registratore di cassa. Una grancassa modificata simula il battito cardiaco. Due sintetizzatori. E poi le voci. Waters convoca il personale dello studio per una specie di intervista di psicologia cognitiva: chiede a tutti di scrivere su un cartoncino di raccontare un episodio violento che li ha visti protagonisti. Poi fa registrare a ognuno alcune frasi. Il road manager della band Chris Adamson pronuncia la frase che apre l’album: «I’ve been mad for fucking years, absolutely years». Il tecnico Peter Watts registra la risata che apre e tornerà nell’opera. Il portiere degli Studios Gerry O’Driscoll dice «I am not frightened of dying, any time will do, I don’t mind. Why should I be frightened of dying? There’s no reason for it, you’ve got to go sometime» e «There is no dark side of the moon, really. Matter of fact it’s all dark».

L’inizio: il cuore che batte, il respiro, il tempo

L’album che raggiungerà l’eternità parlando della follia comincia con un battito cardiaco. È l’inizio della vita, ma pian piano su Speak To Me (l’autore è Mason) si aggiungeranno i ticchettii di un orologio, il rumore di un registratore di cassa, una risata, quella frase sulla pazzia, e una serie di grida di donna, che lasciano spazio a Breathe (in the air) (Waters). Il respiro è, insieme al battito del cuore, il primo segno di vita. Ma è solo l’inizio: «For long you live and high you fly / And smiles you’ll give and tears you’ll cry / And all you touch and all you see / Is all your life will ever be». Subito dopo è la volta di On The Run (Waters, Gilmour), un brano strumentale ambientato in un aeroporto tra passi veloci di viaggiatori, aerei che decollano e la frase «Live for today, gone tomorrow, that’s me». Poi tocca a Time (Pink Floyd), piccolo grande capolavoro: « Tired of lying in the sunshine, staying home to watch the rain / You are young and life is long, and there is time to kill today / And then one day you find ten years have got behind you / No one told you when to run, you missed the starting gun». Dopo la Breathe reprise (Waters) chiude la prima facciata un arpeggio di piano di Rick Wright sul quale Parsons ha l’idea di chiamare a cantare (solo note, senza parole) la turnista Clare Torry. «Improvvisa», le chiedono. E lei inventa su The Great Gig in the Sky (Perry/Wright) una melodia fatta di arpeggi e gorgheggi: «Immaginai la mia voce come una chitarra solista e mi sentii come una Gospel Mama. Dopo poche registrazioni il gruppo era soddisfatto e potei tornare a casa con la retribuzione che mi spettava», racconterà lei. Ovvero paga doppia, 30 sterline, perché è domenica. Inutile dire che la canzone esploderà diventando uno degli pezzi più famosi dell’album. E che lei nel 2004 dovrà fare causa ai Pink Floyd per vedersi riconosciuti i diritti milionari sull’opera.

La fine: i soldi, la guerra, la follia

Il lato B dell’album si apre con i 7/4 di Money (Waters), perché il denaro è sicuramente tra le cose che fa impazzire la gente. E infatti «Money / It’s a crime / Share it fairly, but don’t take a slice of my pie / Money / So they say / Is the root of all evil today / But if you ask for a rise / It’s no surprise that they’re giving none away». Poi è la volta di Us and Them (Pink Floyd), che doveva finire dentro Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni ma alla fine il regista la bocciò: «È troppo triste, mi fa pensare a una chiesa». I Floyd la riciclano per uno dei loro pochi testi “politici”: è un inno pacifista non troppo originale, che vede l’opposizione tra la prima linea dei soldati che va a morire e il generale che invece traccia linee sulle mappe al sicuro nelle retrovie. La strumentale Any colour you like è totalmente affidata alle coloratissime tastiere di Wright e alle chitarre di Gilmour, che si rispondono in un duetto melodico da un canale all’altro dell’amplificatore. E si spegne sull’arpeggio che apre Brain Damage. Il concept dell’album trova qui la sua conclusione, ovvero la follia: «You raise the blade, you make the change / You rearrange me ‘til I’m sane / You lock the door and throw away the key / There’s someone in my head, but it’s not me». E quindi: «And if the band you’re in starts playing different tunes / I’ll see you on the dark side of the moon». L’ultima canzone è Eclipse (Waters): così all’inizio doveva intitolarsi l’intero album.«And all that is now / And all that is gone / And all that’s to come / And everything under the sun is in tune / But the sun is eclipsed by the moon», sono le ultime parole cantate dell’album, chiuso dal battito cardiaco e dalla frase «There is no dark side of the moon, really. Matter of fact it’s all dark».

“The dark side of the moon”, oggi

La copertina con il prisma e l’arcobaleno fu un’idea di Storm Thogerson, fotografo e realizzatore di tante opere per la band. Si rifà a un esperimento di Newton del 1676. E fa sorridere che quel logo così famoso sia stato interpretato come “propaganda Lgbt” da alcuni fans che hanno protestato con la band su Facebook. La prima edizione Uk della Harvest è quotata cinquemila euro su Discogs. Poi i Pink Floyd registrarono il loro concept sull’assenza (Wish You Were Here) pagando il tributo a Syd (Shine On You Crazy Diamond). Dopo l’altro grande successo di The Wall e un ultimo album quasi da solista Waters decise di sciogliere i Pink Floyd, convinto che dopo di lui non dovessero più esistere. Il rifiuto di Gilmour e Mason (e poi, dopo, il ritorno di Wright nel frattempo cacciato proprio da Waters) ha dato in seguito vita a una delle faide più demenziali della storia del rock. Un guerra che ha arricchito gli avvocati. E che di recente ha portato a un ritardo di tre anni nella pubblicazione del remix di Animals a causa di una lite sulle note di copertina. Nel frattempo Rick e Syd sono morti, Waters boicotta Israele e torna a cantare in tour le canzoni dei Floyd. Gilmour e Mason pubblicano brani per l’Ucraina. A guardarli oggi non sembrano per niente il paradigma dell’immortalità. Eppure hanno creato qualcosa di eterno. Destinato a sopravvivere anche a loro. D’altronde, «the time is gone, the song is over / Through i’d something more to say».

Bibliografia: Nicholas Shaffner, “A Saucerful of Secrets”; Nick Mason, “Inside Out”; The Lunatics, “Il fiume infinito”

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