Lo smart working non decolla, aumentano dimissioni (e licenziamenti): c’è davvero una fuga dal lavoro?

Siamo dentro una fase nuova, durante la quale – anche attraverso conflitti individuali e sindacali – ciascuna azienda sta cercando di trovare la giusta misura con cui fare corso al lavoro agile. E le difficoltà non sono poche

La pandemia ha generato uno scossone molto forte nel mondo del lavoro, soprattutto a causa del lungo periodo di lavoro a distanza che tantissime persone hanno dovuto sperimenta all’improvviso e senza alcuna preparazione. A questo elemento si è aggiunta la prepotente apparizione, nei mercati del lavoro occidentali, di un fenomeno imprevisto: la crescita del numero di persone che lascia il posto di lavoro, fenomeno  ribattezzato negli Stati Uniti come “grandi dimissioni”. Proviamo a capire in dettaglio cosa sta accadendo. 


Una rivoluzione a metà?

È difficile formulare delle analisi sul fenomeno dello smart working, perché dietro questa definizione ci sono tanti modelli organizzativi diversi tra loro – si va dal lavoro misurato solo per obiettivi al semplice spostamento fisico dall’ufficio alle mura domestiche, senza ulteriori cambiamenti; per capirci qualcosa possiamo partire da alcuni dati oggettivi. Il primo dato è strettamente normativo: dall’1 gennaio scorso è terminata la normativa emergenziale e, salvo specifiche eccezioni (i lavoratori fragili, ma solo fino al 31 marzo), si potrà lavorare in modalità agile solo firmando un accordo ad hoc con il datore di lavoro. Può sembrare un mutamento banale ma non lo è: pensiamo al tempo necessario, in aziende con centinaia o migliaia di dipendenti per andare a regime, senza dimenticare che le singole clausole degli accordi potrebbero non essere condivise dai lavoratori, con l’impossibilità di accedere allo smart working.


Il secondo dato è una crescente conflittualità sindacale sul tema: nonostante la legge del 2017 abbia “dimenticato” di assegnare un ruolo formale agli accordi collettivi per la disciplina di questo strumento, è sempre più frequente il ricorso allo sciopero per rivendicare il diritto a lavorare in smart working, nelle aziende dove i datori di lavoro sono poco favorevoli ad utilizzare ancora questa forma di lavoro. Il terzo dato è la variabilità dei modelli, cui si faceva cenno prima: sotto l’insegna dello smart working si trova ancora di tutto. Ci sono aziende che stanno tentando di cambiare in maniera radicale il metro di valutazione della prestazione lavorativa, abbandonando la misurazione del tempo e puntando sulla valutazione degli obiettivi.

Un passaggio sicuramente ambizioso e rivoluzionario, ma non facile da realizzare e, soprattutto, non necessariamente adeguato ad ogni lavoro; ci sono ancora tanti lavori che hanno bisogno, per una corretta gestione, di essere misurati anche in relazione al tempo. E poi ci sono i modelli “minimalisti” di smart working, nei quali non c’è alcun reale elemento di agilità nella gestione del lavoro, ma il semplice spostamento della scrivania dall’ufficio alla propria abitazione, dove traslocano i vincoli orari e i metodi di lavoro tradizionali. L’unico elemento che sembra presente in tutti i modelli è il carattere “ibrido” del lavoro agile: sono poche le esperienze nelle quali si lavora tutta la settimana con tale modalità, mentre prevale in maniera abbastanza netta la regola dei 3 giorni in ufficio e 2 giorni in smart working, seppure la declinazione ha mille varianti applicative. 

Il quarto elemento è di natura quantitativa; con l’uscita dalla pandemia sembra essersi fermata la diffusione del lavoro a distanza. Secondo le analisi dell’INAPP presentate nel corso della giornata di studi Lavoro agile, definizioni ed esperienze di misurazione tenutasi ieri, in Italia lavora in smart working solo il 14,9% degli occupati, nonostante quasi il 40% dei lavoratori potrebbe utilizzare tale modalità. Una brusca frenata, secondo tali analisi, del percorso di crescita prorompente che, sotto la spinta delle misure sanitarie, nel 2020 ha fatto aumentare il numero di lavoratori in smart working  dal 4,8% dell’anno precedente al 13,7%; già nel 2021 il tasso di crescita del ricorso al lavoro agile è decisamente rallentato, attestandosi al 14,9%.

L’insieme di questi fattori, come si diceva, non agevola analisi semplici e conclusioni definitive; l’analisi di INAPP, le cronache sindacali e l‘esperienza quotidiana ci consentono di dire, tuttavia, che sembra essersi fermata la crescita apparentemente senza limiti dello smart working. Siamo dentro una fase nuova, durante la quale – anche attraverso conflitti individuali e sindacali – ciascuna azienda sta cercando di trovare la giusta misura con cui fare corso al lavoro agile; una misura che non è solo di tipo quantitativo (quanto smart working utilizzare) ma anche e, soprattutto, di tipo qualitativo (quali modelli adottare).

Le grandi dimissioni: fenomeno apparente o reale?

Un altro fenomeno di cui si parla molto è quello delle “grandi dimissioni”, la fuga dal lavoro che sembrerebbe attraversare, dopo la pandemia, le economie occidentali. Le discussioni sull’effettiva entità del fenomeno sono molte, senza che si sia giunti a una conclusione stabile; il tema è tornato sotto i riflettori proprio in questi giorni, quanto meno nel nostro paese, dopo la pubblicazione dei dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie da parte del Ministero del lavoro. Da queste indagini viene fuori un dato rilevante di dimissioni nel corso dei primi mesi del 2022, oltre 1,6 milioni, con una crescita rilevante rispetto allo stesso periodo del 2021, quando erano state registrate più di 1,3 milioni di dimissioni. Un numero che indica, è bene chiarirlo, i rapporti cessati per dimissioni e non i lavoratori coinvolti (se, per esempio, un lavoratore si fosse dimesso tre volte, sarebbe contato con 3 dimissioni).

Ma nel 2022 non sono aumentate solo le dimissioni: sono cresciuti anche i licenziamenti, tema che è stato oggetto di un lungo “congelamento” durante la pandemia per via dei divieti previsti dalla normativa emergenziale. Nei primi 9 mesi del 2022 sono stati circa 557 mila i licenziamenti, contro i circa 379 dello stesso periodo del 2021 (quando ancora, però, c’erano gli effetti del blocco). Che cosa vogliono dire questi dati? C’è davvero una fuga dal lavoro?  Non è così semplice arrivare a questa conclusione. Come hanno fatto notare alcuni commentatori esperti nella lettura di questi numeri (primo tra tutti Francesco Seghezzi, il Presidente di Adapt), la crescita delle dimissioni è stata accompagnata anche da una crescita delle nuove attivazioni di rapporti di lavoro, che sono maggiori rispetto alle dimissioni (il numero complessivo di attivazioni, includendo anche i rapporti a termine, è di 3 milioni e 384 mila rapporti, con una crescita rilevante rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). 

Un dato che, forse, consente di parlare, più che di “grandi dimissioni”, di “grandi turnazioni”: il mercato del lavoro sembra essere meno ingessato rispetto al passato, pesa di più la concorrenza tra le imprese per accaparrarsi le persone e i lavoratori sono maggiormente disponibili a cambiare azienda, cercando condizioni migliori che vanno oltre la semplice offerta economica.

Dimissioni e smart working: quali legami?

Le imprese fanno sempre più fatica a trovare manodopera qualificata e quindi cercano di attrarre personale offrendo condizioni migliori, soprattutto per i lavori che richiedono una forte qualificazione e specializzazione; i lavoratori e le lavoratrici, con l’affacciarsi di generazioni sempre meno legate al concetto di posto fisso, partecipano ben volentieri a questa concorrenza che li riguarda, e con un coraggio sconosciuto ai loro padri e madri cambiano posto di lavoro. In questo scenario, pesano sempre di più elementi apparentemente secondari rispetto al salario ma ormai diventati una priorità, soprattutto per le nuove generazioni, quali le condizioni e l’organizzazione del lavoro. Un datore di lavoro capace di offrire modelli organizzativi innovativi, sistemi di welfare aziendale efficienti oppure forme di smart working moderno, agile e produttivo, nei casi un cui la prestazione lo rende utilizzabile, può certamente disporre di un’arma forte e potente per attrarre il personale di cui ha bisogno.

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