La sanità degli esami inutili: «Una Tac su cinque non serve». Il ministro Schillaci: «Bisogna razionalizzare»

Sarebbero 8 milioni gli accertamenti superflui ogni anno: risonanze ed ecografie spesso non servono

Almeno il 20% degli accertamenti prescritti nella sanità italiana è superfluo. Si tratta di circa 8 milioni di prestazioni tra Tac, radiografie, ecografie e altre che potrebbero essere evitate con un cospicuo risparmio di risorse che potrebbero essere dirottate dove servono, soprattutto in un periodo di sofferenza per la sanità italiana. Con i finanziamenti che non bastano a coprire le spese che andrebbero sostenute, e gli strascichi del Covid, che ha causato ritardi in molti casi ancora da recuperare, magri proprio smaltendo le liste d’attesa risparmiando sulle prestazioni inutili. Per questo, a La Repubblica, il ministro della Salute Orazio Schillaci fa notare: «Non basta mettere soldi per abbattere le liste d’attesa. Bisogna razionalizzare e cercare l’appropriatezza». E ribadisce: «Ci sono tante persone che fanno esami inutili e c’è chi sta male e aspetta un sacco di tempo per fare un esame importante».


Risonanze magnetiche e ecografie

A spiccare nel quadro del problema sono soprattutto le risonanze, l’esame che più spesso viene prescritto in maniera inappropriata. Nel nostro Paese ne vengono prescritte 700 mila in eccesso, ovvero il 20% in più del necessario. Un incongruenza che diventa evidente quando si confrontano le cifre tra regione e regione. Se in Veneto le risonanze muscolo-scheletriche sono 15,2 ogni mille abitanti, basta spostarsi in Toscana e Lazio per scendere a meno di 10. Appena sotto la media nazionale, di 11. Stessa percentuale, un quinto, e stesso dato anche per le ecografie all’addome. Quelle in eccesso sfiorano le 700 mila, su un totale di 3,4 milioni l’anno.


«Un danno per il sistema sanitario»

Esistono associazioni che si battono per ridurre il numero di accertamenti non necessari prescritti. Due di queste sono “Choosing Wisely” e “Slow medicine“. La presidente della seconda, Sandra Vernero, spiega che «dopo il Covid, sprecare è ancora più grave e il problema è internazionale. La richiesta di evitare accertamenti sanitari inutili non deve arrivare solo dall’alto, altrimenti sembra che ridurli serva solo per risparmiare, spingendo così i cittadini verso il privato. Devono essere i professionisti a far capire agli assistiti che gli esami non necessari sono un danno, per il sistema sanitario, per loro e anche per l’ambiente». Ad oggi, gli italiani spendono 3 miliardi di euro l’anno per effettuare esami da privati.

L’impatto ambientale

Il dato sugli accertamenti inappropriati deriva dal confronto tra la sanità italiana e quella degli altri Paesi e da quello tra regione e regione. A essere presi in esame sono state le prestazioni, ma anche prescrizioni di farmaci e ricoveri. Inoltre, una ricerca dell’Università di Milano ha evidenziato che questi accertamenti hanno un impatto ambientale non trascurabile. «Abbiamo confrontato 7 Paesi dell’area G20, osservando la diversa quantità di risonanze e tac effettuate» – illustra il professor Ludovico Furlan, autore dello studio – Se l’Italia facesse lo stesso numero di esami per mille abitanti dell’Australia, la più oculata nella diagnostica, eviterebbe ogni anno di produrre 4 mila tonnellate di Co2 solo per l’elettricità. Per mettere il dato in prospettiva, si tratta di anidride carbonica assorbita da 66 mila alberi.

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