Avvocata o avvocatessa? Il soprano o la soprano? Guida per orientarsi nel caos del linguaggio di genere applicato alle professioni

L’Accademia della Crusca fornisce il criterio generale per una buona scrittura. Ma non basta, bisogna seguire alcuni criteri per evitare che il linguaggio sia discriminatorio. Ecco quali

L’Accademia della Crusca prende una posizione forte e articolata sul tema, molto discusso, del cosiddetto linguaggio di genere, la scrittura rispettosa della parità tra i sessi. Il pretesto è fornito dal quesito formulato dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, che ha chiesto indicazioni sulla scrittura degli atti giudiziari, ma la fonte è talmente autorevole che le soluzioni proposte possono valere in tutti gli ambiti, non solo quello dei tribunali. L’Accademia della Crusca fornisce il criterio generale per una buona scrittura, tanto nella giustizia quanto nella pubblica amministrazione: bisogna scrivere in modo chiaro e sintetico. Questa indicazione non basta; bisogna seguire alcuni criteri per evitare che il linguaggio sia discriminatorio.


Vediamo le principali regole, con un’avvertenza: prima di sorridere per l’effetto apparentemente buffo di alcune parole (quella che sicuramente vince la speciale classifica della “stranezza” è Pubblica Ministera) bisogna ricordarsi dell’effetto che facevano, dieci o quindi anni fa, parole come “Sindaca” o “Ministra”, ormai diventate di uso comune e certamente uscite da quell’alone di strisciante ilarità che le accompagnava. E soprattutto prima di concedersi alle facili ironie bisogna ricordarsi di un aspetto importante: il fatto che una professione sia declinata al maschile deriva, probabilmente, da una discriminazione iniziale (era precluso l’accesso alle donne), e quindi favorire l’uso del femminile significare anche superare quel retaggio storico.


Vietato dire “amiche e amici”

Secondo l’Accademia bisogna limitare il più possibile interventi che implichino riferimento raddoppiato ai due generi, espediente largamente utilizzabile in contesti pubblici, del tipo “lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate” e simili. Queste formule allungano inutilmente una frase e vanno sostituite, quando possibile, da forme neutre o generiche (es. “persona” al posto di “uomo” o “personale” invece che “dipendenti”). Se non è possibile fare questo, si può usare il maschile plurale “inclusivo” (usato cioè per indicare sia donne che uomini), a differenza del singolare che invece va sempre evitato.

Non si dice “la Meloni” o “la Schlein”

Assolutamente da evitare l’articolo prima dei cognomi di donne, che oggi è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile. Quando sia utile dare maggiore chiarezza al genere della persona, sarà sufficiente aggiungerne il nome al cognome, o eventualmente la qualifica (“La presenza di Maria Rossi” o “La presenza della testimone Rossi”).

Bandita la schwa

L’Accademia prende una posizione netta sulla moda dilagante di usare degli asterischi sull’ultima vocale per evitare di usare il maschile o il femminile. Si tratta, secondo i linguisti, di un errore perché la lingua è prima di tutto parlata e ad essa la scrittura deve corrispondere il più possibile. Quindi, è da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati.

Semaforo verde al plurale maschile “inclusivo”

In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti, secondo la Crusca, continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare. Ugualmente si potrà usare il maschile non marcato quando ci si riferisca in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta.

Si alla declinazione delle cariche al femminile

Anche sul nome delle cariche la Crusca prende una posizione chiara: vanno declinate al femminile in maniera estesa e senza esitazioni. Questi nomi possono essere ricavati con l’applicazione delle normali regole di grammatica: l’Accademia fornisce una ricca casistica per orientarsi.

  • I nomi terminanti al maschile in -o hanno il femminile in -a: magistrato/magistrata; prefetto/prefetta; avvocato/avvocata; segretario/segretaria, delegato/delegata; chirurgo/chirurga; colonnello/colonnella; segretario generale / segretaria generale; perito/perita; architetto/architetta; medico/medica; maresciallo/marescialla; capitano/capitana;
  • i nomi terminanti in -e non suffissati possono essere sia maschili che femminili: il preside / la preside; il presidente / la presidente; il docente / la docente; il testimone / la testimone; il giudice / la giudice; il sottufficiale / la sottufficiale; il tenente / la tenente; il maggiore / la maggiore;
  • i nomi terminanti in -iere: il suffisso -iere (pl. -ieri) al maschile, è al femminile -iera, (pl. -iere), cavaliere (cavalieri) / cavaliera (cavaliere); cancelliere (cancellieri) / cancelliera (cancelliere); usciere(uscieri) / usciera (usciere), brigadiere (brigadieri) / brigadiera (brigadiere);
  • i nomi o aggettivi terminanti in -a e in -ista: al singolare sono ambigenere, al plurale no il/la collega, ma i colleghi / le colleghe; il pilota / la pilota, ma i piloti / le pilote; l’avvocato penalista / l’avvocata penalista, ma gli avvocati penalisti / le avvocate penaliste; l’avvocato civilista / l’avvocata civilista ma gli avvocati civilisti / le avvocate civiliste; fa eccezione poeta/poetessa
  • i nomi terminanti in -tore, tutore/tutrice; rettore/rettrice; direttore/direttrice; ambasciatore/ambasciatrice; procuratore/procuratrice; istruttore/istruttrice; uditore giudiziario / uditrice giudiziaria;
  • i nomi composti con vice-, pro-, sotto e sintagmi con vicario, sostituto, aiuto: conta il genere della persona che deve portare l’appellativo Prosindaco (anche se il sindaco è donna) / prosindaca (anche se il sindaco è un uomo); vicesindaco/vicesindaca; sottoprefetto/sottoprefetta; sostituto procuratore / sostituta procuratrice; prorettore vicario / prorettrice vicaria; aiuto cuoco / aiuto cuoca. Pubblico Ministero: Pubblica Ministera.
  • Nomi femminili: l’Accademia raccomanda di mantenere senza problemi i nomi di professione grammaticalmente femminili, ma validi anche per il maschile, come la guardia giurata, la spia al servizio della potenza straniera, la sentinella, la guida turistica, nonché i nomi grammaticalmente maschili ma validi anche o solo per il femminile, come il membro e il soprano (ma è accettabile anche la soprano).

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