L’attentato di Via Rasella visto da La Russa: «I partigiani uccisero una banda di semi-pensionati, non di nazisti: sapevano del rischio rappresaglia»

In un’intervista al podcast di Libero il presidente del Senato ricostruisce a modo suo l’agguato che provocò il tremendo eccidio delle Fosse Ardeatine

«Una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati, e non nazisti delle SS». Così il presidente del Senato Ignazio La Russa ha ricostruito l’attacco partigiano di Via Rasella del marzo 1944, che provocò l’efferata reazione dei militari tedeschi con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. «In via Rasella li uccisero sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e non», ha detto La Russa a Terraverso, il podcast di Libero, in risposta alle critiche mosse alla premier Meloni e alle sue dichiarazioni sui morti delle Fosse Ardeatine, «uccisi perché italiani». Il presidente del Senato definisce la polemica di chi ha risposto alla presidente del Consiglio ricordandole come i colpiti fossero stati scelti «perché antifascisti» un attacco del tutto pretestuoso. «Tutti sanno che i nazisti hanno assassinato detenuti, anche politici, ebrei, antifascisti e persone rastrellate a caso, certo non gente che collaborava con loro», ha continuato il presidente del Senato.


L’attentato di via Rasella

Il 23 marzo del 1944 un ordigno esplose in via Rasella, a Roma, al passaggio di una colonna di soldati tedeschi, occupanti nazifascisti. Un attentato compiuto da una dozzina di membri dei Gruppi di azione patriottica, partigiani tra cui Rosario Bentivegna e Carla Capponi e in cui morirono 33 soldati. Dopo quell’azione fu deciso che in gran segreto e rapidamente, entro un massimo di 24 ore, bisognasse trucidare «dieci criminali comunisti-badogliani» per ogni tedesco morto in via Rasella. E che quelle persone potessero essere prese anzitutto tra i prigionieri già detenuti e condannati a morte o all’ergastolo nelle carceri di via Tasso e di Regina Coeli. A quelli si aggiunsero presto gli ebrei, altri antifascisti, uomini arrestati per oltraggio alle truppe tedesche o per movimenti clandestini e così via. Per un totale di 335 persone. Fino ad arrivare a 335. Cinque in più del “previsto”. La strage, eseguita dal colonnello Herbert Kappler, dal capitano Priebke e dai loro uomini ebbe inizio meno di 24 ore dopo l’attentato e nessuno seppe nulla, tranne i coinvolti: i mandanti, gli esecutori e i condannati a morte.


«Contestare parola per parola è segno di impotenza politica»

La Russa nell’intervista a Libero attacca anche l’opposizione di sinistra per i suoi metodi: «Io credo che a doversi interrogare devono essere gli elettori di sinistra. Ma davvero la sinistra come elemento principale di contestazione ad un governo che ha avuto una larga maggioranza sia andare ogni volta a cercare cavilli su una frase che dice un ministro, un sottosegretario eccetera… o andare a cercare una foto di vent’anni fa su cosa si ha in casa?». La Russa lamenta di essere costantemente sotto scrutinio – «non posso sbagliare una parola, gli altri guardano a quello che dico io dall’alto» – e parla di «impotenza politica», un modo per sfuggire «all’incapacità di avere altri argomenti più seri e svolgere un ruolo politico, che è quello dell’opposizione». L’invito è quello di non «contestare parole per parole», sperando sempre di dire «”ha sbagliato perché non ha detto le parole che avrei detto io”». E ancora: «Loro vogliono che noi che siamo al governo dicessimo ciò che loro vorrebbero dire, non accettano che usiamo altre parole».

Il busto di Mussolini e quello di Lenin

Sul busto del Duce custodito nella sua casa milanese, motivo di non poche polemiche ormai da tempo, La Russa racconta: «Non ce l’ho più, se lo è rubato mia sorella». Durante l’intervista a Terraverso, condotta da Emanuele Ranucci e Pietro Senaldi, il presidente del Senato ha ricevuto in regalo il busto di Lenin. «Accetto il regalo del busto di Lenin e lo metto a casa», ha risposto La Russa, «ne ho tanti, metto anche questo».

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