Allarme lavoro minorile in Italia, oltre 300 mila sfruttati tra i 7 e i 15 anni – Il report

I dati allarmanti dell’ultimo report di Save The Children

Il dramma del lavoro minorile è (ancora) una realtà in Italia. Un minore su quindici, tra i 7 e i 15 anni, ha avuto esperienze occupazionali continuative, saltuari o occasionali. Ovvero oltre 300 mila giovani, nonché il 6,8% della popolazione in quella fascia d’età. Uno su quattro dei ragazzi tra i 14 e i 15 anni ha svolto attività lavorative dannose per i percorsi scolastici e per il proprio benessere psicofisico. Gran parte delle attività, infatti, sono illegali o situazioni di sfruttamento. Si stima siano circa 58 mila adolescenti, di cui più della metà lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa uno su due lavora più di 4 ore al giorno. Lo fotografa l’ultimo report di Save the Children uscito oggi, 4 aprile, che mette in evidenza una situazione in contrasto con la legge che fissa l’età minima consentita a 16 anni. I settori principali in cui i ragazzi e le ragazze sono coinvolti sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%). Seguiti poi dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere ( 7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Ma spiccano anche nuove forme di lavoro online, come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, il reselling di sneakers, smartphone e pod per sigarette elettroniche.


I danni sui minori

Nel report viene sottolineato come tutte queste attività influiscano in modo negativo sull’apprendimento dei giovani perché riducono il tempo dedicato allo studio e limitano la frequenza scolastica. Il risultato è che il lavoro minorile alimenta il fenomeno dell’abbandono scolastico e della dispersione scolastica. Oltre che un circolo vizioso di povertà ed esclusione. «Ci sono stati 10 anni di silenzio sul lavoro minorile e quindi abbiamo dovuto rimetterci al lavoro per capire cos’era successo. E purtroppo i dati raccontano una situazione peggiorata», dichiara Raffaella Milano, Direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children. A suo dire, sono tre le parole chiave: «Investimenti per fare in modo che le risorse arrivino nei territori deprivati, protagonismo dei ragazzi e quindi importanza dei dati che non vogliamo manchino più».


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