Mattel lancia la prima Barbie con la sindrome di Down: «Un passo avanti per l’inclusione»

La storia della bambola tra critiche e riconoscimenti

Da sempre la Mattel cerca di lanciare sempre più Barbie rappresentative della società e inclusive. Dopo le bambole con l’apparecchio acustico, la protesi alle gambe e la sedia a rotelle, arriva una giovane donna con la sindrome di Down. L’azienda l’ha rilasciata sul mercato americano con l’obiettivo di dare la possibilità alla comunità di bambine e bambini con la sindrome di «giocare con una Barbie che gli assomigli». A dirlo è Kandi Pickard, presidente e Ceo di National Down Syndrome Society (NDSS) che ha supportato il gigante del giocattoli a realizzare la nuova bambola. «Questa Barbie – ha aggiunto – ci ricorda che non dovremmo mai sottovalutare il potere della rappresentazione. È un enorme passo avanti per l’inclusione». Non si tratta della prima azienda di giocattoli che cerca di lanciare modelli più inclusivi. Già nel 2016 la Lego creò la sua prima mini-figura disabile, ovvero un ragazzo su sedia a rotelle con cappello a cuffia. Ma l’azienda danese venne accusata di aver «assecondato gli stereotipi sulla disabilità».


Com’è fatta la bambola

Per realizzare la bambola la Mattel ha chiesto il supporto della NDSS degli Stati Uniti per assicurarsi che la sua ultima Barbie rappresentasse in modo accurato una persona con la sindrome di Down. Il nuovo gioco si presenta con una struttura corporea più corta rispetto alle solite, un busto più lungo, il viso più rotondo con orecchie più piccole, e la forma degli occhi che spesso caratterizza chi si trova nella condizione genetica in questione. L’abito che indossa è giallo e blu, ovvero i colori della giornata dedicata alla consapevolezza sulla sindrome di Down. La bambola ha anche una collana con un pendente rosa con tre galloni verso l’alto che rappresentano le tre copie del 21esimo cromosoma, il materiale genetico che causa le caratteristiche associate alla sindrome di Down e indossa anche plantari rosa alla caviglia.


Barbie è inclusiva? Tra critiche e riconoscimenti

Fin dal suo esordio nel mercato, datato 1959, la Barbie ha suscitato critiche. La prima che venne lanciata nei negozi americani rappresentava una modella bionda e magra. Per la prima volta le bambine si trovarono a giocare con una bambola che rappresentasse una ragazza adulta in cui poter identificarsi. In quegli anni i giocattoli più noti per le bambine erano i bambolotti che rappresentavano neonati e che mettevano le bambine nella condizione di identificarsi come madri nel gioco. Due anni dopo è entrato in scena anche Ken e Barbie, ora felicemente sposata, ha comunque continuato a fare la modella in un periodo storico in cui lo standard prevedeva il marito lavoratore e la moglie casalinga. Nonostante le critiche, infatti, l’obiettivo dichiarato dalla Mattel è sempre stato quello di poter dimostrare alle «bambine che posso diventare chiunque desiderano essere».

La storia di Barbie

Negli anni ’70 la popolarità del giocattolo per la prima volta inizia a calare. Sono gli anni in cui le donne si iscrivono in massa alle università, gli anni in cui entrano nel mondo del lavoro e delle lotte per i diritti. Ma anche in questo caso Barbie si adatta, diventa chirurgo e sciatrice olimpica. Poi negli anni ’80 è donna d’affari e ambasciatrice Unicef, oltre che rockstar. Con il passare del tempo ha continuato a evolversi assieme alla società. Ma negli anni 2000 sono emerse nuove critiche, quando nel 2009 è uscito uno studio dell’Università del South Australia in cui venivano evidenziato come la probabilità che una donna avesse la forma del corpo di Barbie era una su 100 mila. E alcuni attivisti chiesero all’azienda di rappresentare il corpo della bambola in modo più realistico. Così la Mattel ha iniziato a lavorare a una Barbie Curvy, una alta, e una con il seno più piccolo. Oltre a lanciare sempre più bambole che rappresentassero tutti i ruoli sociali possibili che una donna può desiderare.

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