La storia di Romina Jovanovic, arrestata 25 volte in 25 anni: «Voglio i domiciliari, ho un figlio da allattare»

Ha condanne da scontare che ammontano a 7 anni e mezzo di carcere. Ma potrebbe uscire presto

Si chiama Romina Jovanovic, ha 25 anni e la sua “carriera criminale” potrebbe essere già finita nel Guinness dei primati. È stata infatti arrestata per ben 25 volte nella sua giovane vita. La prima volta è successo nel 2011 quando non aveva ancora 14 anni: nel giro di dieci giorni compì insieme a complici due furti tra Piacenza e Tortona. Ma non era imputabile per legge. Oggi ha condanne che ammontano a un totale di 7 anni e mezzo di carcere. Ora è a San Vittore. Ma ha chiesto il beneficio degli arresti domiciliari. Perché deve allattare il figlio neonato. La residenza sarebbe fissata presso il campo nomadi di via Monte Bisbino in cui risiede. Il giudice deciderà a breve. Per lei si prepara piuttosto una detenzione all’Icam.


La carriera criminale

I carabinieri del Nucleo Radiomobile hanno bloccato Romina Jovanovic sabato pomeriggio mentre stava cercando di forzare la porta di un’abitazione in un palazzo di via Capecelatro, a due passi dallo stadio Meazza. Era con due complici di 20 e 21 anni. Un’inquilina dello stabile le ha viste aggirarsi sul pianerottolo e ha chiamato il 112. Con loro avevano tre cacciaviti. Dai controlli in banca dati è spuntato subito l’ordine di carcerazione emesso dal Tribunale di Pavia per un cumulo pene relativo ad alcune condanne definitive. Lei ha usato vari nomi e alias: si è presentata come Romina Ristevski, Ristevsci o Djordjevic o Jovancic. Ma i rilievi dattiloscopici rimandano sempre alla stessa persona: la venticinquenne di origine rom. Negli anni le hanno contestato reati come furto in abitazione, possesso di chiavi e grimaldelli, false attestazioni.


Gli arresti

Il Quotidiano Nazionale racconta che due anni dopo le imprese a Piacenza e Tortona è stata arrestata nell’estate del 2013 in Sardegna, sempre per un furto in un’abitazione. Il 20 agosto dello stesso anno un’altra casa svaligiata a Rimini. Il 24 dicembre viene fermata a Firenze, nel gennaio 2014 arriva a Pescara. Il 20 luglio colpisce a Grosseto. Poi passa oltre un anno: nel settembre 2015 è indagata per false attestazioni a Trieste. Tra il 13 e il 25 maggio 2020 finisce sotto indagine per possesso di grimaldelli a Venezia e per un furto in un’abitazione a Meolo. L’8 giugno 2022 è la volta di Pavia, ad agosto tocca a Milano. Nel settembre 2022 patteggia due anni di reclusione ancora a Pavia. Poi, quattro giorni fa, l’ultimo arresto per il colpo tentato in zona San Siro. Ma agli atti risultano anche diversi divieti di dimora. Mai rispettati.

Le borseggiatrici di Milano

Jovanovic però chiede di non andare in carcere. Vorrebbe gli arresti domiciliari nel campo nomadi di via Monte Bisbino dove risiede. La questione delle misure alternative al carcere è regolata in Italia dal Codice Penale. Secondo l’articolo 146 «l’esecuzione di una pena che non sia pecuniaria è differita: 1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta; 2) se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno». Donne incinte o madri di bambini molto piccoli possono comunque essere condannate a pene detentive. Ma le condanne non si possono applicare finché le condizioni non cambiano. Nel caso delle borseggiatrici di Milano si è parlato anche di una rete criminale che manderebbe a rubare in metropolitana donne in gravidanza e che hanno partorito da poco proprio per sfruttare la possibilità di differire l’esecuzione pena. Inoltre, recita l’articolo 275 del codice di procedura penale, «non può essere disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di una donna incinta o madre con figli di età non superiore ai 6 anni».

La detenzione all’Icam

La sua avvocata Monica Simona Gnesi spiega all’edizione milanese di Repubblica che Romina Jovanovic ha ottenuto una detenzione all’Icam, l’Istituto di custodia attenuata per detenute madri. «Speriamo ci sia posto, oggi lo capiremo», dice la legale. Gnesi ricorda: «L’ho conosciuta dieci mesi fa. L’avevo difesa a Pavia in una circostanza identica, stessa situazione. In quel caso ha avuto un obbligo di dimora». Ora dice che «le storie di queste ragazze sono tutte uguali. Spesso non hanno alternative e si fanno andare bene questa vita. È difficile che smettano, sono indotte a farlo». Lei ha risposto per pochi minuti alle domande del giudice: «Chiedo scusa, mi dispiace. Sono in difficoltà, ho appena partorito».

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