Il boss Pasquale Bonavota si nascondeva a Genova. Chi è il latitante della ‘Ndrangheta più ricercato dopo Messina Denaro catturato dai Ros

Ciò che distingue il “boss bambino” è il suo essere un esponente della cosiddetta «’Ndrangheta evoluta» che si destreggia tra traffico di droga e criptovalute

Il «boss bambino» era il soprannome che Pasquale Bonavota si era guadagnato quando aveva 16 anni, quando già girava con la pistola in tasca e annunciava vendetta contro i rivali in una faida familiare. Arrestato oggi a Genova dai Ros, dopo cinque anni di latitanza, il 49enne di Vibo Valentia faceva parte dell’elenco dei latitanti considerati di massima pericolosità. Era l’unico indagato che ancora non era stato preso dalle forze dell’ordine in seguito all’operazione Rinascita Scott, coordinata dalla Procura – Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, nell’ambito della quale, il 19 dicembre 2019, sono state arrestate 334 persone ritenute parte delle cosche ‘ndranghetane di Vibo Valentia, dopo le condanne emesse il 28 novembre 2018 dal gup di Catanzaro. Era ricercato per poter applicare un’ordinanza di custodia cautelare da scontare in carcere per l’accusa di associazione mafiosa per aver promosso la cosca Bonavota, parte della ‘Ndrangheta di Sant’Onofrio. Il boss è anche accusato di svariati omicidi – Domenico Belsito, Raffaele Cracolici e Alfredo Cracolici – il cui esito processuale è da definirsi.


La rete di contatti in Lazio, Liguria e Piemonte

Secondo quanto riporta La Stampa, nel capoluogo ligure, il boss e la sua famiglia mafiosa avevano trapiantato le proprie attività. Viveva in un appartamento nella zona nord, dal quale gestiva i propri affari criminali in Liguria, Piemonte e Lazio. A Genova, i carabinieri hanno rintracciato una rete di linee telefoniche riservate tra cui quella che si suppone avrebbe dovuto fornire una via di fuga al mafioso. Il perimetro tracciato dalle varie utenze comprendeva anche la cattedrale di San Lorenzo, che i militari hanno sorvegliato negli ultimi giorni, fino a quando hanno avvistato Bonavota che si recava al luogo di culto, dove è stato fermato da solo, mentre pregava. I carabinieri gli hanno chiesto di seguirlo. Come aveva fatto Matteo Messina Denaro, anche il boss bambino ha ammesso la propria identità e ha seguito i militari che lo hanno scortato in caserma. Appresso aveva un documento appartenente a un altro uomo del Vibonese, che potrebbe fornire ulteriori informazioni sulla rete di contatti che ha permesso al boss di vivere in latitanza così a lungo.


L’impero milionario, la droga e le criptovalute

Detto anche Pasqualino e figlio del superboss Vincenzo, Bonavota ha mantenuto negli anni un impero milionario. Tra le attività che gestiva c’era anche lo spaccio di droga, particolarmente intenso a Roma. Ma ciò che distingue il boss bambino è il suo essere un esponente della cosiddetta «’Ndrangheta evoluta», spiega il Corriere della Sera usando le parole del pm Gratteri. Ovvero quella che riesce ad avere «un respiro internazionale» che portava fino in Ungheria, dove la cosca di Bonavota aveva preso il controllo di una piattaforma di investimenti in criptovalute, così da poter riciclare il denaro proveniente dal traffico di droga che si svolgeva nell’Aspromonte forse con altri partner internazionali. Pare che tra le intenzioni dell’istituto di credito vi fosse quella di acquistare una quantità indefinita di Bolivar venezuelani. Transazione non completata a causa di un problema tecnico, che avrebbe reso ancor più difficile tracciare i movimenti del denaro illegale, dato che sfugge a praticamente qualsiasi indagine patrimoniale.

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