Cosa sappiamo del farmaco Udca che pensano prevenga la Covid-19

Viene studiato in Cina per prevenire l’infezione, ma la ricerca risulta ancora scarsa per confermare una presunta efficacia

Si chiama Acido Ursodesossicolico (Udca) ed è stato approvato per per ridurre il rischio di calcoli epatici di colesterolo. Si sostiene che i pazienti che hanno assunto il farmaco si sarebbero rivelati protetti dalla Covid-19, questo almeno è quel che si augurano in Cina. Il problema al quale dovrebbe far fronte Udca è quello di proteggere le persone con sistemi immunitari deboli o contro alcune varianti Covid. La sfida insomma è quella di prevenire l’infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti ad alto rischio che non possono ricevere il vaccino. Considerato che il governo di Pechino non permette ai vaccini a mRNA di passare, ecco allora che la sfida si potrebbe fare ancora più ampia. A quanto sappiamo il farmaco, prodotto in Italia, sarebbe stato oggetto fino a poco tempo fa di un vero e proprio boom di acquisti in Cina, nonostante la sua efficacia contro l’infezione non sia stata ancora dimostrata in ampi studi clinici.


Come dovrebbe funzionare il farmaco

Al momento di promettente c’è solo uno studio preliminare di Brevini et al apparso su Nature nel dicembre 2022. Risulta anche una ricerca conclusasi due mesi fa in Cina: uno studio di fase 1/2, il cui target di partenza era di 130 operatori sanitari. Ma al momento risultano 95 partecipanti. Rilevanti ampi studi, controllati e randomizzati al momento non ne risultano.


L’Udca funziona bloccando il recettore della proteina farnesoide X (FXR), che effettivamente si trova in abbondanza nel fegato, ovvero il bersaglio per il quale è stato approvato al momento. Tuttavia i ricercatori hanno osservato il suo funzionamento su alcuni modelli in vitro, basati su organoidi, usando anche tessuti di topi e criceti, e si sono avvalsi di un paio di polmoni umani che non erano idonei al trapianto. Infine, i ricercatori hanno sottoposto il farmaco a otto volontari sani, vedendo una riduzione dei livelli di ACE2 nelle cellule nasali, ovvero la principale porta d’accesso del virus, deducendo che questo porti a una resistenza delle persone all’infezione. Ma questo aspetto non è stato verificato direttamente, infatti non è escluso che il virus trovi altre strade in carenza di tali recettori.

Lo scorso gennaio è apparsa sul Gastroenterology Journal una analisi di Khairunnadiya Prayitno e Mamatha Bhat, dove evidenziano come i ricercatori siano riusciti a riproporre un farmaco approvato e non protetto da brevetto, con implicazioni notevoli qualora la sua efficacia e sicurezza nell’ambito della prevenzione dell’infezione venisse dimostrata da più ampi studi, che ad oggi ancora non vediamo. «Sebbene i dati sperimentali mostrati fossero solidi», spiegano Prayitno e Bhat, «resta da vedere come l’Udca si comporta negli studi clinici che coinvolgono coorti più ampie e controllate di pazienti. Tuttavia, il riutilizzo di un farmaco economico e prontamente disponibile per prevenire l’infezione virale insieme alla vaccinazione è entusiasmante e promettente».

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