Augusta, i due detenuti morti in sciopero della fame, i rimpalli di responsabilità e quelle denunce mai arrivate – L’inchiesta

Un cittadino italiano e uno russo morti in ospedale nel giro di poche settimane poco dopo il caso Cospito: chi sapeva e chi avrebbe potuto evitarlo?

Due detenuti nel carcere di Augusta, in provincia di Siracusa, entrambi condannati all’ergastolo ed entrambi da settimane in sciopero della fame, sono morti a distanza di meno di un mese, a cavallo tra la fine di aprile e la prima decade di maggio. Il decesso di entrambi è avvenuto in ospedale, a seguito dell’aggravamento delle condizioni dei due detenuti – italiano il primo, russo il secondo. Ma della doppia, gravissima vicenda si è avuto notizia soltanto nelle ultime 48 ore, a seguito della morte del secondo degli ergastolani. Com’è stato possibile che ben due detenuti – proprio nelle settimane successive alla grande ondata di attenzione dell’opinione pubblica al caso Cospito – siano morti a seguito di uno sciopero della fame, che prevede controlli medici quotidiani, nell’ospedale in cui doveva essere scongiurato il peggio? E per quale motivo la notizia del primo decesso – che più fonti concordano nel far risalire ai giorni tra il 24 e il 25 aprile scorsi – è rimasta coperta per oltre due settimane? Sono molte e varie le persone o gli enti che avrebbero potuto o dovuto portare a conoscenza dell’opinione pubblica il fatto – contribuendo così forse a evitare che anche la seconda situazione degenerasse. Ma tutte queste, per ragioni diverse, non lo hanno fatto, secondo quanto Open ha potuto accertare incrociando diverse fonti a diretta conoscenza della vicenda. Delineando un quadro di silenzi che preoccupa almeno quanto la tragica fine dei due ergastolani.


Chi erano i due detenuti e come si è arrivati alla loro morte

A morire per primo alcune settimane fa, sembra tra il 24 e il 25 aprile, è stato un detenuto italiano condannato all’ergastolo, un 45enne originario della provincia di Gela. Secondo quanto riporta Fanpage, il suo nome era Liborio Davide Zerba ed era in sciopero della fame da 41 giorni. Non è noto per quale reato fosse stato condannato all’ergastolo, ma è certo – secondo quanto riferito dal Garante per i diritti dei detenuti di Siracusa Giovanni Villari – che fosse detenuto nella sezione del carcere dove si applica il regime di protezione: quello dove vengono precauzionalmente trasferiti coloro che si sono macchiati di reati di violenza particolarmente efferata, come in casi di pedofilia, violenze sulle donne o ai danni di famigliari stretti. Una personalità difficile, seguito da un team di psichiatri, Zerba soffriva di un disturbo bipolare e sosteneva di essere innocente, che il reato a lui contestato fosse figlio di uno scambio di persone. Per questo era entrato ormai da settimane in sciopero della fame. Ma nessuno, a quanto sembra, al di fuori del carcere di Brucoli ne era a conoscenza. Né Zerba né il suo sciopero della fame erano direttamente collegati – confermano a Open più fonti – a quello iniziato da lunghe settimane dall’altro detenuto di Brucoli, un cittadino russo condannato all’ergastolo che risponderebbe al nome di Victor Pereshchako. Personalità ribelle, si era più volte scontrato con altri carcerati: tanto da rendere necessario il suo trasferimento in una cella in isolamento, nella settima sezione della prigione siciliana. Da anni chiedeva con insistenza di essere estradato in Russia e di poter così scontare la sua pena senza fine nel suo Paese. Ma le sue richieste non avevano sortito alcun effetto, sino alla scelta di rinunciare ad ogni alimentazione.


Chi doveva vigilare?

Per capire cosa (non) è stato fatto prima e dopo la morte dei due, vale la pena riavvolgere il nastro “informativo”. A dare notizia della doppia tragedia è stata per prima, mercoledì 10 maggio, l’agenzia Agi, che ne ha avuto conoscenza diretta dal sindacato di polizia penitenziaria Sippe, che ha ramificazioni tra gli agenti del corpo in tutte le regioni d’Italia. «Apprendiamo con rammarico di queste disgrazie che dimostrano come il lavoro del poliziotto penitenziario è unico, delicato e particolare e come tale deve essere affrontato. Purtroppo non sempre è così», ha fatto sapere la segreteria provinciale del sindacato commentando quanto avvenuto. Il giorno successivo, ad intervenire nel merito del doppio decesso è stato quindi il Garante nazionale delle persone detenute e private della libertà, Mauro Palma. Che ha stigmatizzato appunto il silenzio calato sulla doppia, grave vicenda con parole dure: «Mentre molta doverosa attenzione è stata riservata allo sciopero della fame nel caso di una persona detenuta al 41-bis (Alfredo Cospito, ndr), con interrogativi che hanno anche coinvolto il mondo della cultura e l’opinione pubblica, oltre che le Istituzioni, nella Casa di reclusione di Augusta il silenzio ha circondato il decesso di due persone detenute avvenuto a distanza di pochi giorni, ambedue in sciopero della fame rispettivamente una da 60 giorni e l’altra da 41 giorni». Ma chi avrebbe dovuto parlare e “bucare” per tempo quel silenzio? Possibile che quei due stessi enti in primis – il Garante da un lato, o meglio i Garanti dei detenuti, dal livello nazionale sino a quello locale, la polizia penitenziaria dall’altra – fossero all’oscuro della prima morte, quella di Zerba, avvenuta oltre 15 giorni prima? Contattata da Open, la segreteria provinciale del Sippe ha fatto sapere di aver appreso da fonti interne al carcere di Brucoli, quasi per caso, del duplice decesso soltanto il 10 maggio, appunto. Il sospetto più che fondato è che l’amministrazione del carcere di Brucoli – già in passato sotto i riflettori per le «condizioni inaccettabili» in cui vivono i detenuti ed operano gli agenti, secondo quanto riferito alla stampa locale dal coordinatore provinciale di Italia Viva Manuel Mangano – avesse tutto l’interesse a far sì che la notizia non assumesse un rilievo pubblico, tanto meno nazionale.

Il ruolo dei Garanti

E i Garanti, ossia gli organismi preposti alla vigilanza sui diritti dei detenuti? Se quello nazionale sembra aver appreso la duplice notizia soltanto nelle ultime 48 ore, lo stesso non sembra potersi dirsi, a quanto emerge, per i livelli inferiori. Ma l’intreccio di (non) competenze sul carcere di Brucoli potrebbe aver giocato un ruolo nella mancata denuncia. Anche il Garante di Siracusa ha appreso negli ultimi giorni del decesso del detenuto russo. «Martedì, come ogni settimana, sono andato in visita al carcere di Brucoli e ho saputo che, dopo un primo decesso a fine aprile, era morto un secondo detenuto», racconta a Open Giovanni Villari. «Ho pensato si trattasse di un detenuto che sapevo essere stato soccorso dopo che aveva tentato di impiccarsi in cella, e che era entrato poi in coma. Ho saputo invece che questi aveva ripreso a conoscenza, e a morire in ospedale era stato un terzo detenuto». Il cittadino russo, appunto. Villari ammette di essere venuto a conoscenza in ritardo della morte del primo ergastolano – «il 25 aprile ero a Palermo, dunque quella settimana non feci visita a Brucoli» – ma pochi giorni dopo, tra la fine di aprile e i primi di maggio. Ma in quell’occasione, neppure lui ha ritenuto di rendere pubblica la notizia. Anche per un problema di competenza, spiega. «Ogni volta che faccio delle visite scopro storie e vicende terribili, che mi toccano nel profondo, e quelle che più mi feriscono le racconto. Ma l’ambito di competenza in cui si esercita il mio mandato si ferma al territorio comunale di Siracusa, dunque al solo carcere di Cavadonna». A Brucoli, Villari fa comunque regolarmente visita, anche per colmare un vuoto che definisce una «voragine», ma tecnicamente non può avvalersi al suo interno degli stessi strumenti di indagine e monitoraggio. Come conferma il regolamento di istituzione della figura del Comune di Siracusa, unico in tutta la Sicilia ad essersi dotato di tale figura. Per questo Villari riteneva e ritiene che a dover dare eventualmente notizia di quanto accaduto, tanto nel primo quanto nel secondo caso, dovesse essere più idoneamente il livello superiore, ossia il Garante regionale siciliano per i detenuti. Coincidenza vuole che proprio in queste settimane nel ruolo avvenisse l’avvicendamento tra l’uscente Giovanni Fiandaca, docente emerito di diritto penale all’Università di Palermo, e l’entrante Santi Consolo, ex magistrato e già direttore del Dap, che assume l’incarico proprio in questi giorni. All’Ufficio del Garante regionale – si fa sapere – la notifica fu data da Villari una volta accertato il doppio decesso, martedì 9 maggio, in piena vacatio istituzionale. Nessun contatto, a quanto emerge, avvenne prima, né alcuno ha potuto o voluto incontrare i due detenuti entrati in sciopero della fame prima che la situazione degenerasse.

Carcere al collasso

Ora il faro sul carcere di Augusta è acceso, anche se troppo tardi. Secondo la segreteria provinciale del Sippe, la struttura andrebbe chiusa «almeno per metà» per le condizioni di grave inadeguatezza in cui versa: problemi strutturali e di igiene, infiltrazioni e impianti elettrici non a norma, assenza di docce in molte celle. E in un contesto del genere, non solo a Brucoli, gli scioperi della fame per attirare l’attenzione di personale del carcere, magistrati o opinione pubblica – a buon o cattivo titolo – sono all’ordine del giorno in carcere: «Di Cospito negli istituti penitenziari italiani ce ne sono molti», riassume il sindacato. Che torna a chiedere maggiore e costante attenzione anche sul tema della carenza di personale e di organizzazione tra gli agenti di polizia penitenziaria, che finiscono per inficiare, si sostiene, le stesse condizioni di detenzione dei carcerati. «Ma dopo sei mesi di governo che dovrebbe essere amico nostro, di frutti non ne vediamo», è la diagnosi senz’appello fin qui.

[L’articolo è stato aggiornato in data 16 maggio 2023 per dare conto della precisazione dell’Ufficio del Garante regionale in merito ai tempi di ricezione dell’interpellanza sui due decessi] 

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