Queer family, Michela Murgia: «Io e Claudia siamo una coppia omogenitoriale. Per anni ci siamo nascoste»

In un lungo post social la scrittrice rivela il suo rapporto con Raphael e il senso di oppressione vissuto per anni

«Nella nostra famiglia queer, io e Claudia siamo l’unica coppia omogenitoriale, perché da dodici anni condividiamo un figlio, Raphael». Inizia così il nuovo racconto social su Instagram di Michela Murgia che racconta le dinamiche nella sua queer family. Dopo i chiarimenti di ieri su come viene vissuta la sessualità al suo interno, per smontare i pregiudizi degli utenti, la scrittrice rivela del suo rapporto con Claudia, definendolo per la prima volta come coppia omogenitoriale. «Lo ha fatto succedere Raphael a nove anni, prendendomi la mano nella stessa sera in cui l’ho visto per la prima volta e dicendo: non voglio che te ne vai mai più. Non c’era alcuna ragione per dargli retta, a me i bambini nemmeno piacciono, ma ho vacillato e ho guardato Claudia, anche lei conosciuta la sera stessa», scrive nel suo lungo post social. «La decisione presa in quello scambio di sguardi non l’ho mai rimpianta. Nei successivi dodici anni io ho divorziato, lei si è sposata, abbiamo vissuto tante cose insieme, ma una cosa non è mai cambiata: siamo rimaste le madri di Raphael», prosegue l’autrice sottolineando che non sono mancati gli alti e i bassi.


«Madri in casa e amiche fuori»

«La parte facile l’ha fatta lui, che ha un’intelligenza emotiva che noi neanche dopo una vita di analisi. La parte difficile l’hanno fatta gli altri. Parentado biologico diffidente, quando non ostile. Compagni giudicanti. Conoscenti morbosi. Mille spiegazioni. Silenzi di protezione», spiega Murgia. Che elenca i timori vissuti negli anni. A partire dalla paura alle dogane qualcuno chiedesse perché viaggiava all’estero con un minorenne che non è suo figlio certificato. O gli ostacoli burocratici del quotidiano, come il non poterlo andare a prendere a scuola senza certificazione. E ancora: «La preoccupazione che a lei succeda qualcosa e tu non possa dire: ci sono anche io. O che succeda qualcosa a te e lui non possa dire: era mia madre». Paure, pregiudizi della società e un senso di oppressione che le hanno portate a nascondersi per tanti anni. «Madri in casa e amiche fuori, per far stare tranquillo il mondo. Poi un anno e mezzo fa mi sono ammalata ed è cambiato tutto», chiosa l’autrice.


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