Verona, la storia di una studentessa alle prese con il caro affitti: «Penso di abbandonare gli studi» – Il video

Il monologo è avvenuto durante l’inaugurazione dell’anno accademico. Nella platea c’era anche la ministra dell’Università Anna Maria Bernini

Una storia come tante. Una storia di sacrifici per pagare l’affitto e gli studi in una città lontana da quella di provenienze. Ed è la stessa presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Verona a sottolineare l’abbondanza di storie come quella che ha deciso di veicolare nel suo discorso, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico: «Ho 22 anni, vengo da Frosinone. Ho scelto di trasferirmi a Verona per continuare il mio percorso di studi. Speravo di trovare qui delle opportunità migliori. Dopo due mesi a cercare casa, ho finalmente trovato una stanza: 400 euro, utenze escluse. Per pagarla, ho cercato lavoro. Barista serale: sette euro l’ora, senza contratto. Non era abbastanza. Ho cercato un full time, e rinunciato a seguire le lezioni. I ritmi sono diventati insostenibili, studiare: impossibile. Penso di abbandonare gli studi», ha esordito Francesca Flori, raccontando probabilmente non la sua vicenda, ma quella di una sua conoscente. In platea, oltre al rettore, è seduta la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini.


«Per pagarsi gli studi, gran parte di noi deve affidarsi a esperienze lavorative di sfruttamento, che non garantiscono contratti regolari e tutele. In media uno studente spende 11 mila euro l’anno: un lusso che solo pochi possono permettersi. Meno del 5% degli studenti ha la fortuna di abitare in uno studentato pubblico», ha proseguito Flori, attaccando poi l’esecutivo Meloni. «La consegna, anche attraverso i fondi del Pnrr, della residenzialità universitaria in mano ai privati è inaccettabile. Dimostra la mancata assunzione di responsabilità da parte del governo. Non dobbiamo stupirci se quasi mezzo milione di studenti sceglie di abbandonare gli studi, confermandoci penultimo paese in Europa per numero di laureati. Non dobbiamo stupirci se altrettanti ogni anno decidono di lasciare l’Italia per formarsi altrove. Ogni anno un ricercatore su cinque lascia l’Italia per trovare all’ estero quella dignità lavorativa, qui assente. Anche il percorso degli specializzandi è precario: subordinato alle carenze del Servizio Sanitario Nazionale. Al di fuori del nostro Paese, ricerca e specializzazione vengono riconosciute come lavori, mentre in Italia queste non sono nemmeno garanzia per un mutuo».


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