Tivoli, la storia del prof di religione e capo dell’Associazione Cattolica arrestato per pedofilia: «Segnalazioni mai trasmesse ai giudici»

Mirko Campoli, 46 anni, conquistava gli alunni con regali e doni. L’indagine ostacolata dall’omertà

Si chiama Mirko Campoli, ha 46 anni, è insegnante di religione ed è stato responsabile nazionale dell’Associazione Cattolica fino al 2008. È lui l’uomo arrestato dalla procura di Tivoli con l’accusa di violenza sessuale su minori. Lavorava in un istituto tecnico, era vicepreside ed è stato responsabile anche dell’AC di Tivoli. È stato arrestato con l’accusa di aver violentato quattro minorenni a partire dal 2016. Secondo il Gip gli abusi avvenivano anche durante le gite scolastiche. Tra gli episodi contestati anche uno avvenuto nel 2020 quando l’indagato, sospeso nel frattempo dall’insegnamento, lavorava in una casa famiglia di Roma che si occupa di minori vittime di abusi. Due segnalazioni su di lui arrivate ai religiosi non sono mai state trasmesse all’autorità giudiziaria.


Le dimissioni e l’indagine

A giugno 2021 Campoli si era dimesso sia dalla scuola che dalle cariche religiose. Grazie al curriculum aveva trovato lavoro in una casa-famiglia per minori. Proprio lì si sarebbe verificato il quarto episodio di abusi. Dieci giorni fa è stato sospeso anche da quell’incarico. Nei suoi confronti gli inquirenti hanno fatto applicare la misura cautelare del braccialetto elettronico. Il procuratore di Tivoli Francesco Menditto ha detto che un ragazzo diventato maggiorenne ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi avvenuti in giovane età. Questo ha fatto partire l’inchiesta. Il Gip ha spiegato che «Era un uomo impossibile da odiare, un secondo padre, una persona conosciuta e ben voluta da tutti, capace di comprare il silenzio delle vittime con regali costosi, ma anche con l’ascolto, con la comprensione, con parole adatte a consolare dalle angosce dell’adolescenza».


«Incapace di contenere gli impulsi»

Il quarantaseienne «ha reiteratamente posto in essere atti di violenza sessuale nei confronti di soggetti minorenni, a lui affidati dai familiari in virtù del rapporto di fiducia instaurato negli anni o in relazione alla sua qualità di educatore. L’indagato non ha avuto scrupoli nell’approfittarsi della fiducia in lui riposta, ignorando completamente le gravi ricadute del suo agire nei confronti dei minori, approfittando della loro giovane e complicata età, della loro inesperienza, consapevole che l’acquisto di doni, il tempo loro dedicato, lo svago, le continue elargizioni economiche, unitamente al supporto offerto ai loro familiari, gli avrebbe consentito di ottenere il loro silenzio». L’uomo, secondo il giudice, «presenta totale incapacità di contenere gli impulsi anche a dispetto delle possibili conseguenze dei suoi comportamenti sullo stato psico-fisico delle vittime».

Le autorità religiose

Menditto ha puntato il dito contro le autorità religiose: «Bisogna credere a loro e avere fiducia quando denunciano e i genitori devono immediatamente rivolgersi all’autorità statale. Molti genitori si confidano solo con l’autorità religiosa. Chi non denuncia deve sapere che avrà sulla coscienza eventuali ulteriori violenze ai danni di altri bambini. Non vogliamo fare processi morali ma se avessimo subito avuto tutte le carte dall’autorità religiosa lo avremmo fermato prima».

L’omertà

Dalle carte dell’indagine secondo il procuratore emerge anche un clima di «omertà simile a quella mafiosa». Una «cappa di silenzio» sui tanti segnali che arrivano dalle vittime che spesso non vengono credute. L’indagine ha dovuto fare i conti anche con una condizione ambientale che spesso nega ciò che viene raccontato dai minori. Anche perché «i genitori non accettano l’idea che il proprio figlio possa avere patito una violenza, cercano di coprire e di nascondere». Tra gli atti in mano agli inquirenti c’è anche la testimonianza di un minorenne dal quale emerge la sua totale sfiducia. «Io non denuncerò mai perché non mi crederanno mai e tutto questo non porterà a niente», afferma il ragazzo.

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