Fabio Capello e quella volta che litigò con Ruud Gullit: «Per poco non arrivammo alle mani»

Il mister di Milan, Juventus, Roma e Real Madrid si racconta

Fabio Capello, ex calciatore ed allenatore, si confessa in un’intervista al Corriere della Sera. Nel colloquio con Aldo Cazzullo il mister racconta il suo rapporto con Silvio Berlusconi: «È sempre stato ottimo, da quando da neo presidente del Milan mi fece diventare assistente di Liedholm e poi suo sostituto nel 1987 nelle ultime sei gare di campionato. Mi fece sostenere dei test psicologici con dei cacciatori di teste. Tirò fuori gli esiti quando, dopo Sacchi, mi affidò la panchina della prima squadra». Poi Capello ricorda lo scudetto con la Roma: «Sono stati cinque anni favolosi, anche se vissuti da un’angolatura particolare. Alla ricerca della migliore sistemazione, son rimasto nell’appartamento a Mostacciano, con vista sul raccordo anulare. Ma i festeggiamenti li hanno fatti solo i tifosi».


La Roma, il Milan, l’Inghilterra

Perché, spiega, la società non organizzò una cena per lo scudetto. E lui, per ripicca, diede buca la sera della festa al Circo Massimo: «Quella sera andai al ristorante peri fatti miei. Quando ci fu l’evento al Circo Massimo, avevo già comprato i biglietti per uno dei miei viaggi avventurosi e, offeso, partii». Il mister che ha raccolto al Milan l’eredità di Arrigo Sacchi racconta anche la panchina dell’Inghilterra: «Dopo che Terry era stato accusato di aver rivolto insulti a sfondo razziale nei confronti di Anton Ferdinand, la federazione mi comunicò di aver già deciso di togliergli la fascia da capitano. Ero contrario perché la scelta avveniva prima del processo al giocatore e costituiva un’invasione nella mia sfera di competenza. Per inciso poi Terry fu assolto».


La lite con Gullit

Tra tutte le leggende che ha allenato ritiene il migliore Ronaldo il Fenomeno. Infine, racconta di quella volta che per poco non fece a botte negli spogliatoi dei rossoneri: «Con Gullit quasi venni alle mani, non ricordo se per un ritardo. Sono rigido nel pretendere il rispetto delle regole, ai miei giocatori dicevo di trattare gli inservienti come volevano che i loro genitori venissero trattati dagli altri».

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