Massimo Zen prima di finire in cella per l’omicidio di un ladro in fuga: «Mi avrebbe investito, ma mi hanno condannato: oggi mi girerei dall’altra parte»

A fine maggio la Cassazione ha condannato definitivamente per omicidio volontario la guardia giurata che nel 2017 sparò per difendersi dai malviventi lanciati in macchina verso di lui

«Considerando le leggi che ci sono in Italia oggi mi girerei dall’altra parte». Questo è il verdetto di Massimo Zen sulla sua storia, mentre aspetta, ancora per poche ore, la sua incarcerazione. Il 22 aprile 2017, Zen ex guardia giurata di Cittadella mise la sua auto di traverso per fermare la fuga tre uomini che dopo aver rapinato diversi bancomat della provincia di Treviso stavano dirigendo dritti verso di lui, racconta, con l’intenzione di investirlo. L’auto non si fermava, e Zen reagì esplodendo due colpi. Uno colpì il cofano del mezzo dei ladri, un altro finì addosso a Manuel Major, uno degli autori delle rapine. «Oggi, o al massimo lunedì», le forze dell’ordine porteranno Zen in carcere, dove dovrà rimanere per 9 anni e mezzo, come deciso dalla corte di Cassazione, contro l’opinione della procura generale.


«Sono deluso dalla giustizia»

Zen non sparerebbe di nuovo, ma non perché crede di aver sbagliato. Semplicemente per le conseguenze della sua vicenda. L’uomo 51enne si dice «deluso dalla Giustizia, che non ha tenuto conto della situazione in cui mi sono trovato a operare. Deluso dall’azienda per la quale lavoravo che, dopo aver promesso sostegno, mi ha lasciato a spasso appena mi è stata tolta la possibilità di lavorare col risultato che, da ormai un anno e mezzo, tiro avanti con l’assegno di disoccupazione. E deluso anche dalla politica», dato che «nei giorni seguenti alla sparatoria diversi politici dichiararono ai giornali la loro solidarietà nei miei confronti. Eravamo in periodo elettorale ma, nel giro di breve, la loro vicinanza non si è più fatta sentire», racconta in un’intervista a cura di Andrea Priante per il Corriere del Veneto. Una prospettiva pesante quella che incombe su Zen. «Ancora non riesco a rendermene conto – racconta -Fino a quel giorno, per oltre vent’anni ho indossato una divisa e i malviventi ero abituato a catturarli. Invece ora tocca a me andare in carcere e non so cosa aspettarmi».


La sparatoria e l’arresto

Zen fornisce la sua versione dei fatti in maniera lineare: «Quella notte sono di servizio, devo controllare una serie di aziende. Mi fermo a parlare con una pattuglia di carabinieri, quando ricevono l’allarme che un bancomat è stato assaltato e, subito dopo, dalla centrale operativa mi segnalano che anche una filiale nostra cliente è stata presa di mira. I militari corrono sul posto e io continuo il mio solito giro, rimanendo in contatto con loro. Al quarto bancomat svaligiato, i carabinieri riescono finalmente a intercettare i banditi e si mettono all’inseguimento. Io mi trovo a Vedelago quando, all’improvviso, me li vedo spuntare davanti e metto l’auto di traverso sulla strada, per bloccarne la fuga». E ancora: «Scendo dal veicolo e mi sono posiziono di lato. Questione di secondi. Vedo la vettura dei rapinatori venire dritta verso di me e mi convinco che vogliano investirmi: tempo dopo, uno dei due nomadi sopravvissuti ammise che se avessero voluto mi avrebbero abbattuto “come un birillo”. Ho avuto anche la percezione che esplodessero un colpo di pistola, ma quell’arma non è mai stata trovata e quindi è la mia parola contro la loro. Ad ogni modo, per non farmi ammazzare, premo il grilletto due volte: il primo proiettile finisce nel cofano, l’altro attraversa il parabrezza e uccide l’uomo alla guida». Una versione per cui la Corte di Cassazione ha deciso la condanna per omicidio volontario.

Foto di copertina: Padova Oggi

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