Mfe-Mediaset e il resto: chi vuole comprare le aziende di Berlusconi

Vivendi e Cairo Editore indicate come potenzialmente interessate alle tv. Ma ci sono molti problemi

Subito dopo la notizia della morte di Silvio Berlusconi le sue aziende quotate a Piazza Affari hanno fatto un balzo in avanti. Il titolo a Piazza Affari è arrivato a sfiorare un rialzo dell’11% per poi limare i guadagni e terminare con una crescita importante in un listino nel complesso positivo ma il cui incremento non ha superato un punto percentuali. E questo perché la sua scomparsa apre nuovi scenari sul futuro delle sue aziende. Si parla da tempo di un’offerta pubblica di acquisto per la galassia Mfe-Mediaset. E i pretendenti sono tanti. E mentre ieri è comparsa una dedica sulle torri degli studi di Cologno Monzese, non è difficile immaginare che se arrivassero le offerte giuste la famiglia Berlusconi potrebbe disimpegnarsi dal gruppo televisivo.


Gli indiziati: Vivendi

La maggiore indiziata è il gruppo Vivendi. Anche se le attività televisive del Biscione non fanno parte attualmente del core business dei francesi. Attualmente più attenti al destino di Tim. Ma Parigi ha un vantaggio competitivo rispetto agli altri pretendenti: ha già in cassaforte il 23% del gruppo, eredità della tentata scalata di qualche anno fa. Ma l’idea prevalente in Borsa è che comunque chi eventualmente rileverà il controllo di Mfe-Mediaset dovrà farlo d’accordo col governo. Sebbene senza Berlusconi l’azienda avrà minor peso politico qualche analista arriva a ipotizzare il possibile esercizio del golden power per mettere in sicurezza la tv italiana. Proprio nell’ambito di quell’accordo Fininvest ha rilevato il 5% di Mediaset e ha spostato la sua sede in Olanda. Mentre Vivendi si è impegnata a vendere se il titolo fosse arrivato sopra una certa soglia di prezzo.


La scalabilità del Biscione

Ciò nonostante, quel 23% rimasto a Vivendi rende impossibile, o quasi, la possibilità di scalare l’azienda. Senza avere un accordo con la proprietà, s’intende. Vincent Bolloré e il suo luogotenente Arnaud de Puyfontaine vengono da un lungo braccio di ferro con Marina e Pier Silvio Berlusconi. Mentre l’idea di una fusione tra Mediaset e Telecom forse era nei piani dei francesi, ma il governo è intenzionato a ridimensionare il loro ruolo. Bisogna anche ricordare il peso specifico di tutti e cinque i figli di Berlusconi nell’assetto azionario. Del resto la stessa Fininvest ha assicurato che le attività «proseguiranno in una linea di assoluta continuità sotto ogni aspetto». In attesa di una svolta. Mondadori invece non ha visto la stessa fibrillazione. Mentre per Mediolanum con la morte dell’ex premier cade l’obbligo di scendere dal 30 al 10% del controllo.

L’altro candidato: Cairo Editore

C’è un altro indiziato per la vendita. Si tratta di Urbano Cairo, che ha fatto la storia di Publitalia prima di La7 e del Corriere della Sera. Qui però c’è un problema ancora più insormontabile: il Sic. Ovvero il Sistema Integrato delle Comunicazioni eredità della legge Gasparri. In Italia nessuno può detenere più del 20% dei ricavi complessivi di tv, radio, web e carta stampata. Sulle quote vigila l’Autorità per le Telecomunicazioni. E può costituire una lesione del pluralismo anche detenere l’8% delle risorse del Sic ed essere editori di giornali quotidiani cartacei. Insomma, è difficile che Cairo possa ottenere un ok se non si passa prima da un cambio di legge. Con tutte le difficoltà di questo caso, visto che il tema è bollente per la politica. Insomma, tra i due pretendenti alla fine potrebbe spuntarla un terzo.

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