«Emanuela Orlandi scomparsa perché sapeva troppo»: la tesi dell’ex procuratore sul Vaticano e la Banda della Magliana

Giancarlo Capaldo: non è stata rapita per errore, era lei l’obiettivo. La verità? «Potrebbe essere complessa e inaccettabile»

La cittadina vaticana Emanuela Orlandi è scomparsa «perché sapeva troppo». Ne è convinto l’ex procuratore capo di Roma Giancarlo Capaldo, che alla vigilia del quarantennale della sparizione della Vatican Girl ne parla in un’intervista al Quotidiano Nazionale. «Ritengo che Emanuela sapesse qualcosa. Qualcosa di cui forse non era del tutto consapevole. Qualcosa che sapeva senza quasi accorgersene ma che interessava ai responsabili della sua sparizione», sostiene Capaldo, che ha indagato sulla vicenda insieme a Simona Maisto nell’ultima inchiesta poi archiviata. Mentre oggi a Roma ne è stata aperta un’altra su input proprio del Vaticano. Ma sempre secondo Capaldo non si è trattato di un errore di persona. «Io ritengo che dovesse essere rapita proprio lei».


«Era proprio lei l’obiettivo»

L’ipotesi di uno scambio di persona nella scomparsa di Emanuela Orlandi è nata già negli anni Ottanta. Secondo questa tesi Emanuela somigliava molto alla figlia di un comandante della Gendarmeria la cui famiglia abitava all’epoca nello stesso palazzo degli Orlandi. Capaldo riepiloga le tante false piste del sequestro e del legame con il terrorista Ali Agça. Sostenendo che facessero parte di un depistaggio: «La scomparsa di Emanuela Orlandi era molto a ridosso dell’attentato al Papa e parlare di un coinvolgimento di forze straniere consentiva tutto sommato di guadagnare molto tempo». Tempo per cosa? L’ex giudice torna sulla sua tesi del legame con la Banda della Magliana. Ponendo sotto la lente «la figura di Renatino De Pedis ma non come boss di chissà quale super struttura criminale. La Banda della Magliana era più che altro un agglomerato di bande di raccogliticci. De Pedis è nell’ambito di questi personaggi dalle connotazioni criminali ma che aveva contatti con persone come don Pietro Vergari, con un mondo ecclesiastico di cui poteva usufruire o che di lui si poteva servire».


La Banda della Magliana

Enrico De Pedis detto Renatino è morto in un attentato nel 1990. All’epoca del suo omicidio, avvenuto secondo alcune tesi su input di altri esponenti della “Bandaccia”, non aveva subito alcuna condanna per associazione a delinquere. Secondo Capaldo «tutto deriva dalle dichiarazioni di Sabina Minardi molto tempo dopo. Poi una manina strana ha fatto pubblicare i verbali di quanto rivelava e questo ha consentito alle persone coinvolte di prepararsi le risposte e concordarle, è stato un atto criminale che ha giocato malamente sulle sorti dell’inchiesta. Invece con la Minardi ci avviciniamo alla verità, ha reso dichiarazioni in gran parte veritiere». Nelle motivazioni dell’archiviazione delle ultime indagini su Emanuela Orlandi il giudice Giovanni Giorgianni ha spiegato invece che Minardi è inattendibile: ha cambiato in molte occasioni le sue dichiarazioni, si è contraddetta, ha chiamato in causa persone con alibi di ferro (una di queste era in carcere all’epoca dei fatti), non ha riconosciuto luoghi da lei stessa indicati.

Marcinkus e De Pedis

Secondo Capaldo la Banda della Magliana «ha avuto un ruolo ma non gestionale. La vicenda del denaro può dare la spiegazione del perché altri si siano rivolti a De Pedis ma non del movente di De Pedis». C’è stato davvero un muro da parte del Vaticano dove in quegli anni dominavano personaggi come Paul Marcinkus? «C’è stato eccome, non soltanto per quanto riguarda gli aspetti dell’ispezione alla tomba di De Pedis a Sant’Apollinare, ma nel corso di tutta la storia il Vaticano ha brillato per assenza totale di collaborazione, non hanno collaborato con me come con valenti colleghi e in nessuna delle forme proposte, è oggettivo. Poi improvvisamente Papa Francesco dà l’input di aprire le indagini. Di per sé è positivo».

Una verità complessa e inaccettabile

Infine, la verità. Che secondo Capaldo potrebbe essere «complessa, e forse non accettabile». Perché potrebbe gettare ombre sull’istituzione della chiesa cattolica: «Ho il dubbio che possa esserci qualcosa di questo genere, c’è stata molta omertà e l’omertà nasconde sempre qualcosa». Intanto ieri il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, ha parlato con l’AdnKronos della commissione parlamentare sulla scomparsa non ancora partita: «Non capisco questi rinvii, non sono un buon segnale. Quando si vuole fare una cosa si fa e basta, evidentemente chi vuole rinviare non sa che cosa fare». Per lui «evidentemente, al contrario di quanto dicevo tempo fa, c’è ancora sudditanza psicologica nei confronti del Vaticano». «È molto triste», sottolinea ricordando che domenica ha organizzato un sit-in proprio per ricordare Emanuela e continuare a tenere alta l’attenzione sulla vicenda.

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