Lo sfruttamento sul lavoro non risparmia nemmeno gli ambienti religiosi. O almeno questo è quello che denuncia l’imam Ekrami Wahdan Abouel Mostafa, che accusa il Centro Culturale Islamico Mantovano di averlo assunto e pagato in nero. La denuncia, scrive il Corriere, è stata accompagnata da una una richiesta di intervento presso l’Ispettorato del Lavoro di Mantova per verificare il rapporto di lavoro in nero con cui sarebbe stato impiegato. A nulla è servito il tentativo di conciliazione messo in atto dall’Ispettorato del Lavoro, che pochi giorni fa ha inviato una lettera a Mostafa e al responsabile del Centro, Ahmed Boufoula, per regolarizzare il rapporto di lavoro. Boufoula, infatti, per tutta risposta ha pubblicato la lettera e la foto dell’imam su Facebook spiegando, in arabo, cos’era accaduto. Dal suo punto di vista: «Mostafa, con il quale la collaborazione si è interrotta ad aprile, ha ricevuto i compensi pattuiti – spiega Boufoula -: a volte gli abbiamo dato 500 euro, a volte 1.000 euro al mese, per aiutare lui e la sua famiglia. Il nostro Centro è un’associazione di volontariato: non si può configurare una situazione di lavoro nero. Siamo tutti volontari». Anche perché, ricorda, «presenziare alle cinque preghiere quotidiane richiede un impegno non superiore a quattro ore al mese. Anche per questo si tratta di un’attività di volontariato e non di un lavoro vero e proprio».
Comunità divisa
«Mostafa – continua il responsabile del Centro – veniva nella moschea solo per la preghiera del tramonto, della sera e del venerdì e non a tutte le preghiere. La sua mancata presenza in diverse occasioni ha creato, all’interno della comunità islamica, risentimento e malumori che sono alla base del suo allontanamento». Di certo, il clima tra l’imam e il Centro era molto teso da tempo. Nonostante Mostafa sarebbe stato allontanato dopo una votazione, un gruppo di fedeli ha deciso di schierarsi dalla sua parte. E hanno anche organizzato una raccolta fondi in suo sostegno. A uno di loro, Mostafa avrebbe confidato: «Sporgerò denuncia contro il Centro Culturale Islamico per la pubblicazione della lettera dell’Ispettorato del Lavoro su Facebook, non potevano farlo, si tratta di dati personali». Un suo conoscente ha ricordato, scrive il Corriere, che «fino all’anno scorso Mostafa abitava nello stesso edificio che ospita il Centro islamico. Poi lo hanno costretto ad andarsene chiudendolo fuori casa e cambiando la serratura». La prospettiva di un’ulteriore denuncia, in ogni caso, non sembra intimidire Boufola: «Devo difendere la moschea, è l’imam che ha provocato la controversia facendo causa al Centro. Non abbiamo cambiato la serratura della casa, al contrario abbiamo aiutato Mostafa, che non ha lavoro, a trovare una casa più grande quando è stato raggiunto a Mantova dalla sua famiglia».
Foto copertina: Corriere della Sera
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