Che sia la solidarietà tra polemisti o una genuina convinzione, per Filippo Facci arriva oggi un’altra difesa «d’autore» dopo l’ondata di polemiche per quanto scritto domenica sul caso del presunto stupro commesso da Leonardo Apache La Russa: quella di Vittorio Sgarbi. Il giornalista è da ieri nell’occhio del ciclone per l’articolo pubblicato sull’edizione del 9 luglio di Libero, nel quale commentava cinicamente il caso e in particolare la posizione della 22enne milanese, che fin da subito ad amiche e medici del pronto soccorso ginecologico ha ammesso di aver assunto sostanze stupefacenti la sera dell’incontro in discoteca con La Russa jr. «Le sofisticate scienze forensi non impediscono che alla fine si scontri una parola contro l’altra, e che, nel caso, risulterà che una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa», scriveva nell’articolo Facci. Un affondo contro la presunta vittima che ha scatenato l’indignazione di un’ampia fetta del mondo politico, ma anche delle associazioni che si battono contro la violenza sulle donne: e da più parti sono arrivati appelli perché la Rai a questo punto riveda la sua decisione, già annunciata, di affidare all’editorialista di destra un programma di approfondimento nel prossimo palinsesto di Rai 2. Ma oggi dunque, dopo quella del direttore di Libero Alessandro Sallusti, arriva un’altra voce «fuori dal coro» a provare a tirare Facci fuori dai pasticci. «Nella polemica che mi ha investito mi rimproverano l’uso del turpiloquio, ma nel caso di Facci, non c’è», ha detto Sgarbi all’Ansa, accostando l’ondata di polemiche contro il giornalista a quelle piovute su di lui per la recente performance ricca di volgarità dal palco del Maxxi di Roma.
La «paura delle parole» in tema di sesso
Facci «ha utilizzato un participio passato (“fatta”, ndr) riferito alla ragazza nella maniera in cui abitualmente si usa nel linguaggio comune tra le persone», ragiona Sgarbi a margine della conferenza stampa di presentazione del festival “ContemporaneaMente Gualdo Tadino”. Il sottosegretario alla Cultura afferma di aver «letto con attenzione» l’articolo discusso e ammette di aver trovato quel gioco di parole «non di buongusto» alla luce delle indagini in corso. Facci, insomma, «poteva risparmiarselo». Ma una volta chiarito ciò, Sgarbi punta il dito contro un problema ai suoi occhi di ordine più generale. Ogni volta che si affronta la materia sessuale «mi sembra ci sia una paura delle parole, emerge una sessuofobia». Oltretutto, continua il sottosegretario all’Ansa ricordando la parziale ritrattazione dell’articolo, Facci «ha spiegato che la frase non l’avrebbe più scritta. È una battuta forse sbagliata ma è anche vero che nella seconda parte dell’articolo ha citato il capo d’imputazione contro il figlio di La Russa». Quanto alle richieste d’intervento del comitato etico della Rai sulla posizione del futuribile neo-conduttore, Sgarbi contrattacca tirando in ballo un’altra ben nota voce: «Saviano che ha un contratto sicuro ha detto “bastarda” alla Meloni. È vero che è un termine dal connotato politico, ma non è una gran parola. Perché il peso dell’uso del termine “fatta” è maggiore?». Nulla di male quindi in una collaborazione di Facci con la Rai, lo incalza l’agenzia di stampa? «No, tranne che sul piano estetico: dovrebbe pettinarsi in modo diverso», è la chiosa di Sgarbi.
Le accuse di sessismo
ll sottosegretario di governo è poi tornato con l’occasione ancora una volta sulle polemiche legate al suo intervento al Maxxi di fine giugno confessando ancora una volta il suo stupore. «Mi ha colpito l’accusa di essere sessista, non solo perché la parola non mi piace, ma perché chiunque parli di sesso, donne o uomini, è sessista: il mio era un raccontino, non ho pensato che il sottosegretario non potesse avere attività sessuale. Avrei potuto non rispondere alla domanda, ma l’ho fatto in modo scherzoso. Non sono pentito, al massimo perplesso. Non capisco chi si potesse offendere, parlavo del mio passato». Per Sgarbi dunque, gli attacchi subiti dopo la performance sarebbero essenzialmente dovuti, anche in questo caso, a «un problema estetico, perché pensavo di poter parlare con il linguaggio del mio tempo».
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