La ragazza che accusa il calciatore Portanova di stupro: «Vorrei vederlo in un centro di recupero per uomini maltrattanti»

Dopo la condanna in primo grado le proteste delle tifose: «Per me è stato come un abbraccio»

Il calciatore Manolo Portanova è stato condannato per stupro di gruppo. Lui si è difeso pubblicamente sostenendo che presto avrebbe portato le prove della sua innocenza. Anche se è curioso che non abbia ritenuto di doverlo fare durante il processo in primo grado. Nel frattempo ha offerto un assegno alla ragazza riconosciuta come vittima dai giudici. Intanto le tifose della Reggiana, dove si è trasferito, hanno inscenato una protesta contro la sua presenza in rosa. Oggi, in un’intervista a La Stampa, parla la vittima. Lei, studentessa romana di 22 anni, secondo il tribunale di Siena è stata picchiata e violentata da Portanova, suo fratello William, loro cugino e un quarto sodale. E oggi dice che piuttosto che in campo avrebbe voluto vedere il giocatore in un centro di recupero per uomini maltrattanti.


Il colloquio

«È una cosa che gli ho sempre consigliato caldamente», dice nel colloquio con Filippo Fiorini. «Sarebbe un percorso utile per tutti gli uomini in generale. In modo che imparino a mettersi nei panni di quelle che potrebbero diventare le loro vittime». Perché secondo lei «il punto non è che Portanova giochi o meno. Questo risponde a meccanismi che hanno poco a che fare con i fatti di cui si discute. I regolamenti della Figc non si occupano di questo. Il problema è che chi gioca a calcio rappresenta un modello per il pubblico e ha una visibilità che bisognerebbe utilizzare con più responsabilità». La ragazza dice di aver visto i video delle manifestazioni in solidarietà con lei.


«È stato come ricevere un enorme abbraccio. Come sentirsi dire: non sei mai sola. È emozionante sapere che anche chi non conosci, lotta per te. La mia battaglia è la battaglia di ogni donna al mondo. Non posso fare altro che ringraziare pubblicamente col cuore, ringraziamenti che porterò anche privatamente alle dirette associazioni tra cui anche Donna Chiama Donna, che con l’avvocata Claudia Bini, ed il mio legale, Jacopo Meini, mi sono state vicine».

Il risarcimento

Del risarcimento invece non le importa nulla. «Perché il dolore non ha prezzo». E anche perché non è in cerca di notorietà. «È lui che continua a parlare con la stampa. È lui che continua ad esporsi». «Il mio interesse nei suoi confronti è nato senza che io avessi la minima idea di chi fosse e che cosa facesse nella vita. Per altro, il suo nome non mi ha portato nulla di positivo. Non ho ottenuto niente da tutta questa storia. Anzi, qualcosa sì: solo dolore e lo stesso dolore lo vive la mia famiglia. A che pro avrei dovuto inventare? Non ho mai chiesto niente, accettato niente e voluto niente». Infine, vuole dirgli «che dica la verità una volta per tutte. Le mie lesioni sono state refertate al pronto soccorso all’indomani dello stupro. La sentenza di condanna si basa su queste, sui messaggi, sui video. I periti hanno stabilito che le lesioni sono compatibili con un rapporto non consenziente. In tribunale, io ho chiesto un confronto diretto con lui. Ma l’ha rifiutato».

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