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No! Il cloud seeding non è collegato alle grandinate

10 Agosto 2023 - 13:13 Antonio Di Noto
Il sistema viene anzi usato per limitare la quantità di grandine che potrebbe cadere

Continuano i tentativi dei negazionisti del cambiamento climatico di sminuire la gravità del problema. Lo schema ormai è semplice, prendere un fenomeno che il riscaldamento globale ha reso molto più frequente rispetto al passato, e attribuirlo ad altri fattori, reali o fasulli che siano. Ad essere prese di mira, ultimamente, sono state delle forti grandinate che si sono abbattute sugli Emirati Arabi Uniti, che secondo qualcuno sarebbero state generate del cloud seeding, o inseminazione delle nuvole. Viene tracciato un parallelo e si sostiene che lo stesso sarebbe accaduto in Italia nel 2023.

Per chi ha fretta:

  • Secondo una teoria diffusa su Facebook forti grandinate in Italia e negli Emirati Arabi Uniti sarebbero state generate dall’inseminazione delle nuvole.
  • Si tratta di una pratica che potrebbe far cadere più pioggia da nuvole che già portano precipitazioni.
  • Ma non è in grado di creare precipitazioni che altrimenti non ci sarebbero.
  • I suoi effetti sono dibattuti, ma i più ottimisti sostengono che possa aumentare la quantità di pioggia del 15%.
  • Parte delle precipitazioni negli UAE del 2023 sarebbe dovuta al cloud seeding.
  • Non ci sono prove che esso sia legato alla grandine. Anzi, spesso è utilizzato per evitarne la formazione.
  • In Italia non si effettua cloud seeding dagli anni ’90.

Analisi

A diffondere informazioni non verificate, in questo caso, è un video pubblicato dalla pagina Facebook DetoxStart nel quale si vede un ragazzo dire che negli Emirati Arabi Uniti, viene fatta l’inseminazione artificiale delle nuvole. Qualche volta, però, la pratica sarebbe sfuggita di mano generando forti grandinate. Il giovane traccia quindi un parallelo con le forti grandinate in Nord Italia di luglio 2023, in occasione delle quali sono caduti a terra blocchi di ghiaccio grandi come palline da tennis e si è persino battuto il record europeo, con un blocco di lunghezza vicina ai 20 centimetri. Di seguito vediamo uno screenshot del post. Nella descrizione, il link a un articolo dal titolo: «Geo Ingegneria: scie chimiche, modifiche del clima, h.a.a.r.p., controllo mentale ed effetti collaterali annessi» del 2019 che non menziona mai la parola «grandine».

I complotti già smentiti

Non è la prima volta che qualcuno prova a mettere in dubbio la veridicità del fenomeno. Altre teorie sostenevano che i grossi blocchi di grandine fossero frutto della parziale fusione e successiva solidificazione a terra dei piccoli chicchi di ghiaccio. Abbiamo già smentito la presunta pericolosità normale e paranormale del sistema Haarp qui riguardo ai presunti terremoti che sarebbe in grado di generare, e qui e qui sulle presunte modifiche al clima.

Cos’è e come “funziona” il cloud seeding

Veniamo dunque all’inseminazione delle nuvole, come Open ha recentemente spiegato, l’obiettivo del cloud seeding è fornire alle precipitazioni dei nuclei di condensazione, ovvero degli appigli attorno ai quali possano nascere degli agglomerati che poi precipitano al suolo. La tecnica è nata negli anni ’40 e nel tempo la scelta sul materiale delle particelle è ricaduta sullo ioduro d’argento, dato che si lega molto bene alle molecole d’acqua. Altre sostanze molto usate sono il ghiaccio secco e il cloruro di sodio. Gli obiettivi sono quelli di incrementare la quantità di pioggia e di migliorare la qualità dell’aria, dato che le precipitazioni trascinano con sé anche gli inquinanti. Tra gli svantaggi c’è soprattutto l’alto costo del metodo. È stata usata in Italia, in Cina e negli Usa, tra gli altri Paesi. Recentemente si è parlato del caso del Messico. Fondamentale è tenere presente che al momento non ci sono prove che il cloud seeding abbia effetti drastici. Molti esperti non sono nemmeno certi che funzioni, mentre i più ottimisti sostengono che possa aumentare fino al 15% la quantità di precipitazioni.

Negli Emirati Arabi Uniti

Dagli anni ’90 gli Emirati Arabi Uniti portano avanti progetti di cloud seeding, con l’intenzione di incrementare la scarsissima quantità di precipitazioni che il Paese riceve. Spesso sotto i 100 millimetri di pioggia all’anno. Per confronto, Milano ne riceve tra 900 e 1.200, mentre Palermo circa 600. Nel corso di questa estate e della scorsa primavera forti piogge si sono abbattute sul Paese e non sono mancate copiose grandinate, con chicchi di dimensioni simili ad olive ascolane. Mentre le precipitazioni estive sono state portate dal monsone indiano, come spiegato da Metbeat News, quelle primaverili erano dovute a una bassa pressione nell’est del Paese.

In questi periodi di instabilità meteorologica hanno approfittato per effettuare oltre 20 operazioni di cloud seeding, ma, come ha spiegato lo stesso Ahmed Habib del National Centre of Meteorology, citato dal Khaleej Times, «è importante notare che queste operazioni aumentano la quantità di pioggia, non creano pioggia». In nessun articolo sull’argomento esistono riferimenti all’aumento della grandine e al cloud seeding in correlazione. Anzi, la pratica potrebbe ridurre l’energia presente nelle masse temporalesche allo scopo di evitare forti grandinate, come è stato fatto nello Stato canadese dell’Alberta. Non ci sono prove, poi, che l’inseminazione delle nuvole sia stata usata in Italia di recente. le ultime sperimentazioni risalgono alla Puglia negli anni ’90, come spiega questo articolo del Corriere della Sera.

Conclusioni

Secondo una teoria diffusa su Facebook forti grandinate in Italia e negli Emirati Arabi Uniti sarebbero state generate dall’inseminazione delle nuvole. Si tratta di una pratica che potrebbe far cadere più pioggia da nuvole che già portano precipitazioni. Ma non è in grado di creare precipitazioni che altrimenti non ci sarebbero. I suoi effetti sono dibattuti, ma i più ottimisti sostengono che possa aumentare la quantità di pioggia del 15%. Parte delle precipitazioni negli UAE del 2023 sarebbe dovuta al cloud seeding. Non ci sono prove che esso sia legato alla grandine. Anzi, spesso è utilizzato per evitarne la formazione. In Italia non si effettua cloud seeding dagli anni ’90.

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