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Le Roi Michel Platini vuole un nuovo trono: «La presidenza della Juventus? Non mi chiamano…»

15 Agosto 2023 - 06:52 Redazione
michel platini presidenza juventus 1
michel platini presidenza juventus 1
Il numero 10 parla anche di quel gol annullato contro l'Argentinos Juniors: l'arbitro? L'avrei ammazzato

Michel Platini vorrebbe diventare presidente della Juventus. Ma gli Agnelli non lo chiamano. Mentre i burocrati della Fifa hanno fatto fuori il fuoriclasse francese dal governo del calcio. E sulle offerte dall’Arabia Saudita ricorda che i giocatori sono uccelli: migrano dove si sta meglio. Le Roi rilascia oggi un’intervista a Walter Veltroni per il Corriere della Sera. Che parte dal significato della maglia 10 per un giocatore di calcio: «Quel numero ha quella magia perché identificava, fin dall’inizio della storia del calcio, tutti i più forti: Puskas, Pelè, Rivera. I leader delle squadre, tecnici e carismatici, avevano quel numero. Nel sogno dei bambini della nostra epoca c’erano due stelle: il numero dieci e il portiere, ruoli totalmente differenti. Ho passato il mio tempo a cercare di fregarli, i portieri, per cui non posso capire l’amore per quel ruolo. Ma la gente gli voleva bene…».

Il nonno e l’Avvocato

Platini racconta di suo nonno muratore emigrato dall’italia e di suo padre insegnante di matematica: «Mio nonno è arrivato in Francia negli anni Venti. Non ne so tanto, in verità. Ho il rimpianto di non aver ricostruito fino in fondo la nostra storia. Loro non ne parlavano volentieri. C’era stata la Prima guerra mondiale, poi la Seconda. Non era facile in quel periodo essere italiani in Francia. I miei genitori, figli di italiani, non parlavano la vostra lingua, quella dei miei nonni. La mia mamma lavorava nel Cafè des Sportifs, mio padre insegnava e allenava i ragazzi, per cui non abbiamo mai avuto quei bei pranzi tutti insieme in cui ci si racconta le storie di famiglia. I miei nonni non hanno mai parlato della loro vita, mai». Poi parla del suo rapporto con l’Avvocato per antonomasia: Gianni Agnelli. «Non era certo un amico, non era una persona con cui mi prendevo a pacche sulle spalle, aveva tanti anni più di me e la sua indiscutibile autorevolezza. Io direi così: ho reso orgoglioso l’Avvocato. È lui che mi ha voluto. Credo pensasse, tra sé, che era stato lui, non Boniperti o altri, a scegliermi e ciò che avevo fatto era la conferma che lui capiva di calcio e quindi nessuno poteva rompergli le scatole sul tema. Lui mi ha consentito di avere la massima libertà, in campo e fuori. Sì, credo di averlo reso orgoglioso. E questo fa felice me».

Paolo Rossi e l’Heysel

Ricorda Paolo Rossi, scomparso quasi tre anni fa: «Paolo era davvero una brava, bella persona. Lui non era matto di calcio, con lui si poteva parlare di tutto. Io gli rubavo le sigarette, lui si arrabbiava moltissimo». E dell’Heysel, dove la Juve giocò e vinse la finale di Coppa dei Campioni con il Liverpool nonostante i morti: «Un bruttissimo ricordo. I momenti successivi alla partita sono stati tremendi. Sono andato con Gaetano Scirea due giorni dopo a visitare i feriti all’ospedale di Bruxelles. È stata una cosa bruttissima. Quando pensi che delle persone erano venute fin lì per vederti e non sono più tornate a casa, dalla propria famiglia…». E degli scandali Fifa, finito con la sua assoluzione: «Io sapevo di non avere nulla da rimproverarmi, ho sempre fatto tutto correttamente. Ho visto la sofferenza della mia famiglia e delle persone che mi sono vicine. La battaglia che ho condotto era contro l’ingiustizia. L’obiettivo di quella campagna era di farmi fuori dalla Fifa. Mi hanno messo sotto accusa le commissioni della Fifa che gestiscono “loro”. Appena si è usciti dal mondo dei funzionari del calcio, che volevano impedirmi di diventare presidente, la giustizia ordinaria mi ha dato ragione. E per me, ovviamente, conta quello».

L’Arabia e i soldi

L’argomento sulla bocca di tutti oggi è l’Arabia Saudita. «I calciatori, i migliori calciatori, sono come uccelli che migrano cercando i luoghi dove vivere meglio. E dove sono attesi dalla gente e quindi ci sono più soldi. Io sono venuto in Italia, all’inizio degli anni Ottanta, perché era il Paese che pagava di più, era il cuore del calcio mondiale. Maradona, Falcao, Zico giocavano qui. Erano gli anni di Mantovani, di Berlusconi, dell’Avvocato, gli azzurri avevano vinto il campionato del mondo, l’economia andava bene, il terrorismo stava finendo. Si sentiva un’aria di ripresa, di entusiasmo nella società italiana. E quindi anche nel calcio. Oggi i calciatori vanno dove gli danno più soldi. Ora, spiega Platini, tolto Messi non ci sono numeri dieci: «Ora è il portiere o il difensore centrale il regista, quello che organizza il gioco».

La presidenza della Juventus

Oggi non ha ruoli nel calcio. E nemmeno prospettive: «Ho già fatto tutto. Sono stato calciatore, allenatore, dirigente. E dunque bisognerebbe ci fosse un progetto interessante, nuovo, strano, davvero rivoluzionario. Oggi ho 68 anni, sono segnato da quarant’anni di pressione, di costante esposizione. Mi hanno fatto diverse proposte, ma ho sempre rifiutato. Ora sto godendo la mia vita». Farebbe il presidente della Juventus. Ma… «Nessuno me lo ha mai chiesto…». Infine, racconta di quella volta che l’arbitro gli annullò il goal nella finale di Coppa Intercontinentale con l’Argentinos Juniors: «Era una partita decisiva. Arriva un arbitro che mi annulla quel gol. Quel gol: palla fatta passare sulla testa del difensore e tiro al volo nell’angolo. L’avrei ammazzato. Quel gesto era un atto di disperazione. Che faccio: gli vado addosso, gli rifilo due sberle, lo ammazzo, lo strangolo? Mi faccio espellere e lascio la squadra in dieci? Ma come, mi annulli un gol così, nella finale della Coppa del mondo? Sono quei gol che già se ti vengono in allenamento. Ma in una finale…».

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