Abi boccia la tassa sugli extraprofitti: «Sono assenti nelle banche, l’imposta potrebbe essere incostituzionale»

In audizione alle commissioni del Senato il dg Sabatini ha espresso la contrarietà del settore all’imposta una tantum pensata dal governo Meloni

Le banche non hanno extraprofitti e la tassa pensata dal governo presenta profili di incostituzionalità. In audizione alle commissioni del Senato il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini ha espresso le perplessità dell’associazione delle banche sulla tassa sugli extraprofitti del governo Meloni, che prevede un’imposta straordinaria una tantum a carico degli istituti di credito che non può superare la soglia dello 0,1% del totale dell’attivo. L’imposta viene calcolata con un’aliquota del 40% sull’incremento del margine di interesse registrato nel 2022, che superi di almeno il 5% quello dell’anno prima, e su quello del 2023 che eccede per almeno il 10% il margine di interesse dell’esercizio precedente. Dubbi d’incostituzionalità erano sorti già nei giorni scorsi in Senato, sollevati dai tecnici del servizio bilancio del Senato, e il ministero dell’Economia aveva chiesto un parere alla Bce. Per l’Abi però si tratta di una bocciatura, su più fronti. «Ingiustificate penalizzazioni del settore bancario», spiega Sabatini, «determinerebbero una minore capacità di accantonamenti prudenziali, di finanziamento alle imprese e alle famiglie e limiterebbero l’interesse degli investitori verso il settore bancario italiano», con effetti a cascata «sull’intero mondo economico italiano». Il dg di Abi evidenzia come l’assenza di confronto «ha prodotto un vulnus alla fiducia riposta sul mercato finanziario italiano», e sottolinea come sia sbagliato parlare di extraprofitti del sistema bancario: «L’extra-profitto si riferisce a una situazione specifica, quella in cui un’impresa godendo di una posizione di monopolio od oligopolio può fissare il prezzo dei suoi prodotti ricavando un profitto superiore a quello determinabile in un mercato concorrenziale. Questa situazione è assente nelle banche, in forte concorrenza nell’intera area dell’euro e per quella di fintech e big tech».


Profili di incompatibilità con la normativa Costituzionale e comunitaria

Poi le criticità che potrebbero riguardare il contrasto con la normativa italiana e quella europea: «La nuova norma produce effetti retroattivi, in quanto si riferisce a periodi conclusi (2021 e 2022) o in corso (2023)», e questo «incide sulla certezza del diritto, in contrasto con i principi e i criteri di certezza, irretroattività, programmabilità cui si ispira la delega fiscale pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 14 agosto». L’imposta così pensata «solleva dubbi di compatibilità con i precetti costituzionali», ha detto ancora Sabatini in audizione, «possibili profili di incompatibilità con la disciplina comunitaria sono relativi all’articolo 42 della Costituzione, per lesione del diritto di proprietà, stante il carattere espropriativo della misura sulla ricchezza dell’impresa. Detto profilo è relativo alla necessità che il prelievo straordinario abbia a confronto l’esercizio di normale attività del contribuente rispetto al margine straordinario generato dalle contingenze. Il raffronto con periodi di imposta dove il tasso di interesse si attestava attorno allo zero non costituisce un adeguato parametro». Secondo l’Abi, infine, «si riscontra anche una possibile violazione del principio di libera concorrenza riconosciuto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea nella prospettiva di una discriminazione. Gli operatori nazionali del settore bancario sarebbero penalizzati rispetto ad enti bancari residenti in altri Stati membri». Sabatini afferma poi che in Italia «le banche sono già oggetto di una tassazione elevata», e che nel nostro Paese «a differenza che in altri paesi europei, non sono stati applicati tassi negativi sui depositi in conto corrente, anche in presenza di rendimenti sui Bot negativi e anche in presenza di tassi negativi applicati sui depositi presso la Bce». Il direttore generale ha infine ricordato che «dal 2011 in Italia si applica un’aliquota Irap maggiorata al 4,65%, in luogo di quella ordinaria fissata al 3,90%, e dal 2017 un’addizionale Ires pari al 3,5%: è bene ricordare che l’attuale recupero della redditività delle banche europee sta quindi riportando a una fase di normalizzazione» dopo anni di tassi negativi.


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