Pensioni, l’idea del part time negli ultimi due anni di lavoro con l’assunzione «agevolata» dei giovani

La staffetta generazionale agevolata nei piani del governo. Con un costo finale neutro per l’azienda

Il lavoro part time prima della pensione. Con l’orario dimezzato negli ultimi due (o quattro) anni prima del ritiro. E, insieme, l’assunzione «agevolata» di under 35. Il progetto sulla staffetta generazionale nei luoghi di lavoro del governo Meloni è una delle idee che potrebbero arrivare nella Legge di Bilancio. Insieme alla detassazione delle tredicesime e all’aumento delle pensioni minime. E a Quota 103, che verrà prorogata anche nel 2024. La norma sul turn over è stata esclusa all’ultimo momento dal decreto Made in Italy. Come ha spiegato il ministro Adolfo Urso, «permette al pensionato per due anni di formare un giovane sotto i 35 anni, poi assunto con contratto a tempo indeterminato». Con un costo finale «neutro» per l’azienda. Nel senso che la somma dei costi del neoassunto e del prepensionato in part time non devono superare lo stipendio pieno del secondo.


Staffetta generazionale

L’idea di una staffetta generale nei posti di lavoro si sposa quindi con gli sgravi contributivi per le imprese. La misura non dovrebbe avere ostacoli dall’Unione Europea, perché va nella direzione di prolungare l’età del ritiro e aiutare la sostituzione dei lavoratori anziani. Il disegno di legge originario prevede nella bozza inziale che le aziende con almeno 50 lavoratori possano stipulare un contratto di due anni con un lavoratore andato in pensione da non più di 24 mesi. Con l’obiettivo di fargli svolgere un’attività di tutoraggio e monitoraggio nei confronti di lavoratori under 30 se diplomati e under 35 se laureati assunti a loro volta a tempo indeterminato. C’è però anche un’altra ipotesi. Che prevede il part time vero e proprio per chi sta uscendo dal lavoro sul modello di alcuni paesi scandinavi. Ma il problema di questo progetto sono i costi.


L’assegno minimo a 670 euro

Il budget per la previdenza nella seconda finanziaria del governo Meloni sarà infatti di due miliardi di euro al netto della rivalutazione delle pensioni. Il Messaggero spiega che con questa dotazione si avrà la conferma di Quota 103, dell’Ape sociale e di Opzione Donna. Per quest’ultima si ragione anche riguardo un allargamento della platea a tutte coloro che hanno 35 anni di contributi. Ma con un’età del ritiro che potrebbe essere alzata. Per la rivalutazione, secondo i conti del quotidiano, potrebbero servire fino a 13 miliardi. Sulle pensioni minime l’obiettivo del governo è arrivare a portarle a 700 euro. Ma potrebbe essere fissato uno step intermedio. Che farebbe toccare all’emolumento quota 650 o 670 euro. Sempre che passi la linea di Antonio Tajani e dia l’ok il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Le coperture

Tra le ipotesi su Opzione Donna c’è quella di togliere il paletto dei figli per le lavoratrici che usufruiscono ora dell’agevolazione (caregiver, invalide e licenziate o lavoratrici di aziende in crisi). Anche senza uno o due figli queste tre categorie potrebbero, dunque, ottenere l’uscita dal lavoro già a 58 anni. Sul fronte coperture vanno segnalati dubbi del Servizio bilancio del Senato. I tecnici si soffermano stavolta sul decreto Tim e sui 2,5 miliardi necessari per l’ingresso del Mef nella Netco della rete: una cifra di cui sarebbe opportuno chiarire l’impatto sui conti, se concentrato cioè solo sul 2023 o in parte anche sul 2024. Eventuale nuova grana, in questo caso, anche per la manovra.

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