Giuseppe Dioguardi, maresciallo dell’Aeronautica in pensione, ha lavorato nelle segreterie di quattro ministri della Difesa (Lagorio, Spadolini, Gaspari e Zanone). E oggi in un’intervista a la Repubblica sostiene di aver avuto per le mani due dossier del Sismi, il servizio segreto militare, riguardo Ustica. E aggiunge nel colloquio con Fabio Tonacci anche di aver distrutto documenti riservati. Forse proprio su Ustica, anche se non conferma il dettaglio perché ha testimoniato in procura a Roma. Su Giuliano Amato dice che «finalmente ha detto le cose come stanno. Era sottosegretario alla presidenza del Consiglio quando circolò una relazione del Sismi su Ustica. Non è uno che parla a caso». Quel dossier venne prodotto dall’ammiraglio Martini, che allora era a capo dell’intelligence militare.
La cartellina di pelle
«Il 17 giugno 1986 il capo di gabinetto della Difesa mi chiese di prendere una cartellina di pelle dal suo ufficio a palazzo Baracchini e di portarla con urgenza a Pian dei Giullari perché Spadolini doveva leggerla, controfirmarla e inoltrarla a Craxi. Fui scortato da due carabinieri. Spadolini mi accolse in vestaglia rossa. Aprì la cartella, lesse e si arrabbiò…», ricorda oggi Dioguardi. «Mi disse: ‘ricordati, caro Giuseppe, non c’è niente di più schifoso di quando i generali vogliono fare i politici’. Ripeteva: ‘Guarda, guarda le puttanate che hanno scritto!’ Poi fece una telefonata a Craxi alla fine della quale, senza convinzione, controfirmò le otto pagine del Sismi», aggiunge.
Nella relazione «tra le altre cose si parlava di due Mirage francesi in volo, di un Tomcat americano, di Mig libici…Non posso rivelare nel dettaglio il contenuto, perché è oggetto di una deposizione di dodici ore che nel 2011 ho rilasciato ai pm di Roma. È coperta da segreto istruttorio. Posso però dire che il Sismi aveva messo nero su bianco due versioni: la prima ricostruiva quanto accaduto la notte del 27 giugno 1980 sulla base degli elementi a disposizione dell’intelligence, la seconda era la versione di comodo che il Sismi suggeriva alle istituzioni di rendere pubblica».
La relazione
Secondo Dioguardi la relazione non è stata distrutta. Il maresciallo ricorda che ogni documentazione classificata rimane all’interno delle segreterie. E di questa c’erano cinque copie in giro: «L’originale, una minuta e un minutario rimasti nell’archivio del Sismi, poi una quarta copia presso la segreteria speciale al ministero della Difesa e l’ultima alla segreteria speciale della presidenza del Consiglio». Si può ancora trovare negli archivi della presidenza del consiglio e della Difesa. Ma Dioguardi spiega anche che è difficile a causa di una circolare: «Tra il 1982 e il 1988 lo Stato maggiore dell’Aeronautica emanò una circolare interna: ordinava a tutti i reparti di non usare la parola ‘Ustica’ nei documenti ufficiali. Al massimo si poteva scrivere ‘noto evento’ o ‘noti fatti’. Lo scopo era rendere quelle carte meno interessanti per hiunque ne fosse venuto in possesso. E anche più complicate da ritrovare, una volta archiviate».
L’Italia e la Francia
Mentre l’Italia deve chiedere alla Francia «i piani di volo dei Mirage decollati quella notte. Lì dentro c’è tutto: orari, scopo della missione, quantitativi di carburante usati». Il maresciallo ricorda di aver distrutto documenti riservati: «Mi è stato ordinato e l’ho fatto fino al 2004. Nel 2008 ho lasciato l’Aeronautica». L’ha fatto «nelle basi militari di Pantelleria, Crotone, Alghero e all’aeroporto di Comiso quando venne chiuso per trasferire gli archivi cartacei alla base di Sigonella. A Pantelleria andai nel weekend dopo l’orario d’ufficio, c’era poca gente in giro». Non vuole dire se fossero documenti su Ustica. Ma a giudicare dai luoghi, tutti collegati alla strage, parrebbe proprio di sì.
La sera del 27 giugno 1980
Infine, Dioguardi racconta cosa stava facendo la sera del 27 giugno 1980: «Per caso mi trovavo nella sala operativa della Prima Regione aerea, in piazza Novelli a Milano. Avevo vent’anni, lavoravo nell’ufficio del personale ed ero andato a trovare un collega di turno. Sentii tutte le comunicazioni telefoniche tra i comandi delle tre Regioni aeree italiane, e i messaggi classificati della Soc, la Sala operativa dello Stato Maggiore, che venivano decriptati e letti nella sala». Di quella sera ricorda che «la sparizione dal radar del Dc9 fu anticipata di dieci minuti dal segnale di allarme aereo nazionale inviato dai due F-104 italiani. In gergo tecnico, avevano squocciato. Per una notte l’allerta venne alzato al massimo livello in tutte le basi italiane. I due velivoli avevano incrociato il Dc9 sui cieli tra Bologna e Firenze, poi erano atterrati a Grosseto. Non si capiva cosa fosse successo all’aereo civile.
La frase del generale
Il racconto prosegue: «La mattina dopo, alle 8.30, il generale Mura, che guidava la Prima Regione aerea, convocò tutti coloro che erano ella sala operativa. Ci disse che avremmo dovuto mantenere massimo riserbo. Aggiunse una frase indimenticabile». Ovvero: «Disse: “Sono cose che possono succedere, capiremo chi ha abbattuto cosa”».
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