Lino Banfi è amico di Papa Francesco. Lo testimoniano le tante foto che li ritraggono insieme. E lui oggi spiega al Corriere della Sera come è nato il rapporto con Jorge Bergoglio: «È un mio amico. Sono stato a trovarlo sette volte. La prima gli dissi: voglio diventare il giullare del Papa. Quando lei è incavoleto , mi chiama, e io la faccio sorridere». E lui «ogni tanto mi chiama. E io gli racconto gli episodi più divertenti della mia vita, e pure quelli tristi: il mio sogno è sempre stato far ridere e piangere insieme. Come prova d’amicizia gli ho chiesto questa foto. Lui ha messo via il bastone, e si è appoggiato a me». L’attore condivide con il pontefice l’anno di nascita: il 1936. E nel colloquio con Aldo Cazzullo oggi riepiloga la sua carriera e qualche aneddoto familiare.
La madre
Come quello che riguarda suo padre, che si chiamava Riccardo Zagaria, aveva la terza elementare e faceva l’ortolano. O come sua madre: «Non era andata a scuola proprio. Quando doveva firmare le dicevano: Nunzia, fa’ la cruoce . Ma lei rispondeva: “Mi chiamo Nunzia Colia”, e di croci ne faceva due: una per il nome e una per il cognome. Mamma me la sono goduta più a lungo. Quando si ammalò, cercai per lei il miglior chirurgo. Dopo l’intervento il luminare volle incontrarmi, mi portò in uno sgabuzzino, chiuse a chiave. Pensai dovesse darmi notizie gravi». Invece? «Si inginocchiò, mi baciò la mano, e disse: “Ho sempre sognato di baciare la mano che ha toccato il culo a Nadia Cassini”. Avevo affidato la vita di mia madre a un pazzo».
Il seminario
Da ragazzo entrò in seminario, tanto che gli zii pensavano che potesse diventare Papa. Non finì così: «Mi cacciarono per indisciplina. Organizzavamo scherzi feroci, spiavamo le suore… Mi mettevano in ginocchio sui ceci, invano. Nelle recite sacre mi facevano fare Giuda, ma riuscivo comunque a far ridere. Fu chiamato il vescovo, monsignor Di Donna, un sant’uomo che era stato missionario in Madagascar, adesso lo fanno beato. Temevo un anatema terribile. Invece mi sorrise: “Figliuolo, la tua vocazione non è il sacerdozio, è divertire la gente”».
Totò
Banfi parla poi dell’incontro con Totò: «Lavoravo nel teatro di Graziano Jovinelli, che mi mandò da Totò con una lettera di presentazione: “Ma mi raccomando, non la aprire, non leggere quello che scrivo di te”». E lei? «Io ovviamente aprii la lettera, con il trucco del vapore, e la lessi. C’era scritto: “Caro Totò, hai davanti un giovane di talento, che non si smarrisce nei congiuntivi”. Praticamente una laurea. Totò mi chiese: come ti chiami? E io: Pasquale Zagaria, in arte Lino Zaga. E lui: non va bene, lo devi cambiare». Perché? «È quello che gli chiesi. E lui: “Abbreviarsi il nome porta bbuono, guarda me che mi chiamo Antonio. Ma abbreviarsi il cognome porta malissimo”».
Aldo Moro
C’è spazio anche per Aldo Moro: «Nel 1972, tramite il suo segretario Nicola Rana, mi convoca in prefettura a Bari Aldo Moro: “Mi hanno detto che lei nei suoi spettacoli fa una battuta su di me… Me la ripete?”». Qual era? «In Russia Stalin è morto e c’è la destalinizzazione, in Italia Moro è ancora vivo ma c’è già la demoralizzazione…”. Sorrise: “Bella. Molto fine. Ma non la dica più”».
L’incontro con Craxi
Banfi parla delle sue simpatie politiche. Smentisce di aver mai votato per il Movimento Sociale Italiano, anche se lo chiamavano “Pancetta nera”. Poi racconta un incontro con Craxi: «Mio padre era un democristiano di centrodestra, e io pure. Ho sempre guardato l’uomo. Mi piace Veltroni e non solo perché si chiama Walter come mio figlio, quando si candidò a sindaco di Roma lo accompagnai nei centri anziani. Mi piaceva Craxi». Lo ha conosciuto «in un ristorante milanese. Stava con Berlusconi, che ci presentò. Lui era presidente del Consiglio, io ero quello che toccava il culo a Nadia Cassini e sbirciava Edwige Fenech dal buco della serratura. Eppure fu gentilissimo, fece il baciamano a mia moglie. Un signore».
La lettera del Papa
Infine, c’è spazio per parlare di una lettera di Papa Francesco: «I nonni sanno essere forti nella sofferenza, e tu sei il nonno di una Nazione intera. Raccogli l’eredità di fede e di bontà di Lucia…». «Me la scrisse quando morì mia moglie. Abbiamo fatto in tempo a festeggiare i sessant’anni di matrimonio».
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