Pensioni, il taglio dell’adeguamento per quelle da 2.100 l’anno fa partire le cause contro il governo

L’esecutivo ha già risparmiato 40 miliardi. Ma la Consulta bocciò una norma analoga. Causando un buco nei conti

Il governo Meloni dovrà difendersi davanti alla Corte Costituzionale. A causa della norma che decurta l’adeguamento delle pensioni all’inflazione dei trattamenti quattro volte al di sopra dei minimi di Inps. Ovvero 2.100 euro lordi l’anno. La campagna è stata annunciata dalla Cida, sindacato dei dirigenti, che si è rivolta allo studio legale Bonelli Erede. Le iniziative giudiziarie, spiega oggi Il Messaggero, saranno sette. Con l’obiettivo che il giudice sollevi la questione di legittimità istituzionale in via incidentale. E finire davanti alla Consulta. Negli scorsi mesi anche i pensionati della Uil hanno avviato iniziative legali. Nel 2015 la Corte aveva dichiarato illegittimo il provvedimento del governo Monti che azzerava la rivalutazione per i trattamenti oltre tre volte il minimo.


La perequazione automatica

La cosiddetta perequazione automatica è la rivalutazione dell’importo pensionistico legata all’inflazione e finalizzata alla protezione del potere d’acquisto. Riguarda sia le pensioni dirette (come la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata) sia le pensioni indirette (pensione ai superstiti). All’epoca della bocciatura del taglio di Monti il governo di Matteo Renzi era dovuto intervenire con un decreto legge piuttosto costoso. Secondo i giudici lo Stato può decidere di tagliare la perequazione, ma deve farlo solo in casi particolari e dettagliando le motivazioni. Spiegando in base a quali esigenze di finanza pubblica sia necessario. La norma è stata spesso disapplicata negli ultimi anni, sempre per ragioni di bilancio. Prevede che ai trattamenti previdenziali che siano tre volte il minimo Inps sia riconosciuta una rivalutazione pari al 100% dell’inflazione. Mentre tra tre e cinque volte il minimo la decurtazione può andare dal 10 al 25%.


Gli assegni e le pensioni

Ma soltanto per la parte di assegno che supera la soglia. Le regole attualmente in vigore prevedono tagli dal 15 al 68% e sull’intero importo. L’obiettivo della Cida è quello di «spingere il governo ad adottare provvedimenti strutturali e lungimiranti». Per effetto della norma in vigore i trattamenti hanno subito una perdita del potere di acquisto dal 7,5 al 9%. Lo Stato ha risparmiato in totale circa 40 miliardi. Con l’impatto dei tagli che dovrebbe scattare nel 2024 il conto aumenterebbe di altri 20.

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