Israele, il viceministro degli Esteri Cirielli: «Distruggere Hamas e poi ricostruire Gaza». I palestinesi in fuga? «Più facile aiutarli nei campi profughi» – L’intervista

Riguardo alla sicurezza interna all’Italia, l’esponente del governo Meloni spiega: «Necessario aumentare la vigilanza perché anche qui da noi ci sono musulmani integralisti»

Di ritorno da una missione a Zagabria, in Croazia, il viceministro degli Esteri si è immerso nuovamente nel dossier sul conflitto tra Israele e Hamas. Non è segreta la vicinanza di Edmondo Cirielli alla comunità ebraica e, già prima dell’incarico ricevuto da Giorgia Meloni ai vertici della Farnesina, l’esponente di Fratelli d’Italia si era occupato della questione palestinese: dagli aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza che, «in alcuni casi, sono finiti nelle mani di Ong vicine ai terroristi», al contrasto alle frange del fondamentalismo islamico. Dal suo ufficio al ministero, racconta a Open come sta agendo la diplomazia italiana per la risoluzione del conflitto e quali sono, secondo lui, le coordinate per comprendere le ragioni del sostegno italiano a Israele.


Viceministro, alcuni analisti hanno constatato che l’Unione europea, ormai, è relegata al ruolo di istituzione-ong che negli scenari internazionali è utile per ciò che concerne l’erogazione di aiuti, ma che sta diventando ininfluente per quanto riguarda gli equilibri geopolitici. Cosa c’è di vero in questa narrazione?


«C’è del vero, ma è esagerata: la Ue esercita un soft power, riesce a incidere su alcuni scenari in maniera laterale. Ma sulle grandi decisioni, l’Europa ha un peso perché l’influenza la esercitano i singoli capi di governo. Basti pensare alla questione ucraina. Detto ciò, in questa vicenda dei palestinesi è ovvio che ci sia un cortocircuito. Purtroppo la colpa è di una certa cultura di sinistra che, negli anni ’70, è stata fomentata dai partiti europei di radice comunista al soldo dell’Urss. Le loro idee hanno attecchito e sono rimaste, nonostante l’Urss sia scomparsa. Alcuni esponenti della sinistra sono accecati da quello che definisco “il paradosso palestinese”, secondo cui i buoni sarebbero soltanto i palestinesi mentre gli israeliani vengono inquadrati come meri occupanti. È un’idea che sosteneva l’Urss, ma non perché ci credesse davvero: piuttosto, per minare lo Stato di Israele che è il più fedele alleato Usa nell’area. Una vulgata utile e strumentale agli scopi sovietici».

Perché dice che questa “vulgata” è ancora presente, anche nelle istituzioni dei Paesi europei?

«Partecipai a una riunione ministeriale dell’Ue, non più tardi di un mese fa, e ricordo che Josep Borrell fece un violentissimo attacco a Israele parlando della questione palestinese. C’è una nuova forma di antisemitismo in Europa, che si manifesta nell’essere contro lo Stato israeliano. Tornando alla prima domanda, credo che l’Ue scoprirà la sua vera forza nel panorama internazionale quando il Parlamento europeo avrà una maggioranza chiara, definita, di forze politiche omogenee e secondo me di centrodestra. Allora la Commissione europea sarà il riflesso dei partiti e si potrà esercitare un’azione coerente con i suoi valori».

A proposito di ong e aiuti umanitari, ci sono delle evidenze che alcune risorse provenienti dall’Italia e destinate ai civili di Gaza siano finite nelle mani di Hamas?

«La questione la conosco molto bene perché sia io che Andrea Delmastro abbiamo fatto diverse interrogazioni nelle scorse legislature. Abbiamo numerose evidenze che, in passato, alcuni fondi della cooperazione italiana siano andati a Ong fiancheggiatrici di Hamas. Ci fu un caso di una Ong italiana, ad esempio, che finanziava materiale didattico per i bambini di Gaza: con i soldi della cooperazione italiana, di fatto, furono stampati e distribuiti nelle scuole alcuni libelli antisemiti. Erano gli anni in cui al governo c’era il Partito democratico. Questa vicenda è utile anche a inquadrare un altro aspetto della questione, ovvero l’odio profondo nei confronti degli israeliani che Hamas ha instillato, nel corso degli anni, nella popolazione di Gaza. Comunque, la Ong in questione si scusò e derubricò il fatto a una svista che non si sarebbe ripetuta. Analoga cosa capitò all’Unwra, l’agenzia delle Nazioni unite che sostiene umanitariamente i palestinesi».

Parte dei fondi per la cooperazione passano dal suo ministero. Avete intenzione di bloccare i finanziamenti alle Ong che operano a Gaza?

«Quando mi sono insediato, ho insistito da subito affinché ci fosse un monitoraggio più stringente sulla destinazione finale delle risorse. Ritengo che, da allora, non sia più accaduto che alcuni fondi siano finiti nelle mani di Hamas. Ad esempio, c’è questa agenzia delle Nazioni Unite, l’Unrwa, che sostiene i palestinesi a Gaza, ma sappiamo che parte dei suoi aiuti arriva indirettamente ad Hamas, anche grazie al potere dittatoriale e pervasivo che l’organizzazione terroristica esercita sulla Striscia. Stiamo parlando di un’agenzia finanziata in maniera sostanziosa anche dagli Usa. Personalmente, ho fatto fare una serie di accertamenti visto che il sospetto c’era già molto prima dell’attacco del 7 ottobre. Non ho interrotto a priori i finanziamenti italiani all’Unrwa, ma li ho sospesi. Ho chiesto di svolgere un esame approfondito prima di erogare i circa 7 milioni di euro che l’Italia avrebbe dovuto stanziare a inizio 2023. La valutazione era ancora in corso quando la guerra di Hamas ci è piombata addosso. Lo sottolineo, non volevo bloccare a priori questi 7 milioni, ma solo aspettare che la nostra agenzia per la cooperazione ultimasse i riscontri sull’Unrwa. Certo è che, in questa, non è più idoneo dare il via libera al finanziamento. Anche perché, con il controllo dittatoriale che esercita Hamas a Gaza, è verosimile l’accusa secondo cui il personale palestinese assunto dall’Unrwa sia deciso in realtà dai terroristi. Sono sincero e devo ammettere che, anche dal lato americano, c’è stata spesso un’ambiguità di fondo nella politica di sostegno umanitario: credevano di poter tenere a bada i terroristi con l’elargizione di risorse. Denaro in cambio di pace, insomma, e non ha funzionato».

Si sta lavorando a un piano umanitario che riguarda i cittadini di Gaza o la questione è ritenuta prematura?

«Giustamente Israele ha l’obiettivo di sconfiggere Hamas e prendere momentaneamente il controllo di Gaza. È un obiettivo dichiarato sin dall’inizio e sarà raggiunto a qualunque costo. Gli israeliani sanno bene che ciò comporterà numerose vittime sia tra i loro soldati che tra i civili in ostaggio. Allo stesso modo, sanno benissimo che è inevitabile avere perdite tra i civili palestinesi, anche perché Hamas è solita utilizzarli come scudi umani. Però intendiamoci, Israele è in guerra. Sicuro che gli israeliani faranno comunque di tutto per evitare vittime tra la popolazione, voglio ricordare che il diritto internazionale e il diritto bellico non punisce tout court l’uccisione di vittime civili, ma punisce e vieta l’uccisione deliberata di civili. Faccio un esempio: se sto assediando una città dove sono asserragliati terroristi o militari e muoiono anche delle persone, non sto violando il diritto internazionale. L’azione militare avviata da Israele è di difesa, visto che è stata minata la sua sicurezza interna. Se per sfortuna muoiono dei civili in tale azione, Israele non può ritenersi colpevole. Anche perché, fino ad oggi, Israele è sempre stato chirurgico. Adesso, però, l’estrema precisione potrebbe essere nemica dell’azione militare in corso e far aumentare le vittime tra i militari israeliani. Comunque, altra cosa che va rimarcata in questo discorso, è che Israele ha invitato ai civili di Gaza di abbandonarla».

Se scappano, però, ci saranno enormi problemi umanitari per i profughi: stiamo parlando di oltre un milione di persone a cui è stato chiesto di fuggire dalla parte Nord della Striscia.

«Magari si riuscisse a creare un campo profughi al confine, in Egitto: anche per l’Italia sarebbe più facile aiutare i civili palestinesi. Io sarei il primo, in quanto viceministro, a sostenere forme di aiuti cospicui per i profughi palestinesi, così come stiamo facendo con i siriani fuggiti da Assad e che vivono nei campi profughi in Libano e in Giordania. Lì ci sono immensi campi profughi dove è più facile e lineare far pervenire gli aiuti occidentali. Sono convinto che sia molto meglio per i palestinesi, in primis, scappare da quella zona di guerra piuttosto che rimanere intrappolati nella Striscia mentre Israele, giustamente, è determinata a distruggere e disarmare Hamas. Giustamente perché quell’invasione avvenuta sabato 7 ottobre, per metà giornata, ha mostrato cosa accadrebbe agli ebrei se non ci fosse uno Stato forte come Israele a proteggerli. Dirò di più: credo che la ferocia dei miliziani abbia sorpreso gli stessi vertici di Hamas e l’Iran. Non credo si aspettassero tanto odio bestiale. Però, se fai circolare tra i bambini dei libri antisemiti, se instilli quotidianamente odio etnico, cresci una popolazione razzista. È un problema molto serio su cui bisognerà riflettere una volta sconfitta Hamas. Quando i terroristi saranno annullati, Gaza dovrà essere ricostruita dai palestinesi sotto un rigido controllo di Israele e delle Nazioni Unite. Progressivamente, potrà essere affidata all’Autorità Nazionale Palestinese che, per quello che mi riguarda, mi pare l’entità che storicamente si sia dimostrata più affidabile. Anche se, ultimamente, percepisce fondi iraniani e di altre potenze integraliste islamiche. Mi creda, i palestinesi dopo la distruzione di Hamas e la ricostruzione di Gaza, vivranno meglio di come hanno vissuto sotto la dittatura di questi terroristi».

Sui corridoi umanitari, Crosetto ha offerto la disponibilità dell’Italia a collaborare per la gestione. È dello stesso parere?

«Confermo, c’è piena disponibilità da parte dell’Italia».

Un punto per essere chiari: Israele va sostenuta a qualunque costo, senza fare valutazioni in termini di vite umane degli abitanti della Striscia?

«Chi, nell’occidente, dice “appoggio totale a Israele ma nel rispetto diritto internazionale” sostiene una banalità. È ovvio che da Israele e da tutte le democrazie occidentali ci si aspetti il rispetto del diritto internazionale, dei diritti umani, della convenzione di Ginevra. Non ho motivo di dubitare che Israele, per un solo istante, abbia pensato di violarli. Sono le dittature che non hanno rispetto per i diritti. Poi, ribadisco: un’azione di difesa militare, come quella che Israele sta portando avanti nella Striscia, non è detto che non possa comportare delle vittime collaterali. È però assurdo insinuare dubbi sull’operato di Israele che, dopo essere stato attaccato, deve garantire la propria sicurezza. Ed è assurdo dubitarne guardando agli anni precedenti: pur di rispettare il diritto internazionale, nonostante la propria potenza bellica, Israele ha accettato di avere maggiori perdite tra i suoi militari. È normale: se tuteli al massimo i civili, esponi i tuoi soldati a più rischi. Dispiace che, in questo momento, Israele sia aggredito mediaticamente da chi vuole far passare il messaggio che l’occidente non rispetti il diritto internazionale».

Ci sono delle azioni militari considerate contraddittorie, come il bombardamento avvenuto nei pressi del valico di Rafah mentre i civili della Striscia erano in fuga.

«È una narrazione infarcita di propaganda. Israele, quando può, avvisa sempre prima di bombardare un edificio o una zona dove ci sono anche dei civili, invitando a mettersi in salvo prima di sganciare le bombe. Sono giorni che Israele invita i palestinesi a fuggire da Gaza, ma è Hamas che costringe i civili a restare per usarli come scudi. Il valico di Rafah è stato bombardato perché lì vicino c’erano dei nuclei armati che impedivano ai palestinesi di lasciare Gaza e perché, in quel momento, erano state notate movimentazioni di armi da parte di Hamas. Il bombardamento di Israele vicino al valico era atto a impedire che esso fosse utilizzato in maniera impropria e, comunque, non sono state segnalate perdite di civili in quell’azione. È negli interessi di Israele che i civili di Gaza si mettano in salvo e abbandonino lo Striscia, così potrebbero debellare Hamas senza spargimenti di sangue».

A livello di mediazione che l’Italia sta assumendo con i governi esteri, quali sono i Paesi con cui la collaborazione in queste giornate è più fitta?

«Tradizionalmente, riconosciamo che alcuni Paesi arabi dell’area svolgano un ruolo positivo. Egitto e Giordania in maniera particolare, poiché sono due Nazioni che in passato sono state coinvolte nelle guerre contro Israele. Poi, con la mediazione, hanno raggiunto la pace, anche attraverso la cessione di porzioni di territorio. Poi c’è l’Arabia Saudita, dove il giovane principe ereditario Mohammed bin Salman ha mostrato una sincera apertura all’occidente e un percorso improntato alla distensione e alla pacificazione dell’area mediorientale. Però intendiamoci, una cosa è la pacificazione, un’altra è la sconfitta della dittatura di Hamas: su questo secondo punto Israele è giustamente inflessibile. Ripeto, verrà in seguito il tempo della ricostruzione di Gaza e si potrà ricominciare. Ma prima Hamas deve essere smantellata».

Non si lavora a una resa dei terroristi senza combattimenti?

«Si lavora anche in questa direzione, ma non si può fare alcun passo indietro rispetto all’obiettivo di Israele: distruggere Hamas, con l’uccisione dei suoi componenti, con la prigionia e forse anche con qualche salvacondotto in Paesi terzi. Solo allora saranno riavviate le discussioni tra Israele e palestinesi sulla soluzione “Due popoli, due Stati”, soluzione che non vede l’opposizione aprioristica degli israeliani».

In queste situazioni, l’Italia si muove in autonomia, seguendo già i solchi dei buoni rapporti bilaterali, o agisce di concerto con gli altri Paesi Ue?

«Il nostro ministro degli Esteri sta esercitando un’azione fortissima. Oggi – 13 ottobre – è in Israele. Poi andrà in Giordania. Faccio notare come Antonio Tajani, in ogni dichiarazione e azione diplomatica, sottolinei la condanna di Hamas. Hamas è fuori dalle trattative di pace. Hamas deve essere cancellata, distrutta dal punto di vista politico e militare. Da questa linea, che è quella israeliana, il nostro governo non si sposta. Con i terroristi non si tratta, non si può discutere con un’organizzazione razzista, terrorista e che fa della dittatura la sua cifra di governo».

Peccato che l’Unione europea non agisca all’unisono: le sue istituzioni avrebbero una spinta maggiore.

«Questo è un vecchio vizio dell’Ue e che Meloni denuncia da tempo. L’Europa, ad oggi, ha preferito occuparsi delle etichette sul cibo e non di grandi temi. Il mio auspicio è che, dopo le prossime elezioni, l’Ue smetta di essere un’unione burocratica e di banchieri e inizi a farsi valere sui grandi temi strategici come la difesa comune, l’immigrazione, le pandemie».

L’attenzione sulla sicurezza interna del’Italia è aumentata? Come sta agendo il suo ministero, quello degli Interni, della Difesa e, in generale, il governo sul tema?

«Ovviamente Meloni e Tajani hanno fatto subito un vertice con Guido Crosetto e Matteo Piantedosi, con i capi delle forze armate, delle forze di polizia e con i vertici dei servizi segreti. È stato necessario aumentare la vigilanza sui punti sensibili e, in generale, su tutto il territorio nazionale».

Perché è stato necessario?

«Perché, in Italia, vive una parte di popolazione musulmana radicalizzata. Girano moltissime fake news in questi giorni sui social e noi dobbiamo stare attenti affinché l’odio razziale e l’antisemitismo, che in Italia esiste sia nelle comunità di immigrati musulmani integralisti sia nei gruppi di estrema sinistra, non esploda. Personalmente, ritengo che ci voglia una stretta decisa su queste realtà».

Ultima domanda: in seguito all’aggressione di Hamas, è stata rinviata la conferenza Italia-Africa. Questo conflitto potrebbe avere delle conseguenze sul Piano Mattei e sugli sforzi in politica estera di Meloni?

«Sicuramente aggiunge delle difficoltà, ma aumenta anche la necessità di implementare il Piano Mattei. Pensiamoci: la guerra in Ucraina ha dato il via alla crisi alimentare in Africa. Questo conflitto tra Israele e Hamas, visti i tanti musulmani in Africa, può generare anche in quel continente delle tensioni. Ed è proprio per questo che il Piano Mattei di Meloni si conferma una grande intuizione».

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