L’ira di Sgarbi contro Il Fatto Quotidiano: «E-mail violate, fake news e manipolazioni, contro di me una campagna sistematica di diffamazione»

Il sottosegretario alla Cultura contrattacca per filo e per segno sulle inchieste pubblicate nell’ultima settimana dal quotidiano di Travaglio

Va al contrattacco su tutta la linea, Vittorio Sgarbi, dopo giorni in cui è al centro di una ormai quotidiana sequela di inchieste e attacchi da parte del Fatto Quotidiano. Che ammontano, ricostruisce il sottosegretario alla Cultura, a una vera e propria «sistematica opera di diffamazione», a base di calunnie e manipolazioni. Ecco perché, annuncia Sgarbi, il quotidiano diretto da Marco Travaglio dovrà presto rispondere degli attacchi di questi giorni in tribunale.«Spacciando per “giornalismo” una valanga di diffamazioni e calunnie il Fatto Quotidiano per l’ottavo giorno consecutivo continua a pubblicare vergognose illazioni sul mio conto», sbotta Sgarbi in una lunga nota diffusa dal suo ufficio stampa. Il critico d’arte con ruolo di governo è letteralmente furente per le falsità in serie pubblicate negli ultimi giorni dal Fatto, e tiene ad enumerarle ad una ad una.


Le menzogne dell’ex autista

Sgarbi nega di essere mai stato a Montecarlo, come scritto questa mattina dal quotidiano di Travaglio e come ha già spiegato anche «in maniera circostanziata nella denuncia depositata ieri presso la Squadra Mobile della Questura di Roma». Conferma invece quanto riferito da un suo ex autista rumeno, e cioè che gli avrebbe intimato nel corso di un viaggio di non rimettersi alla guida: ma «solo perché aveva mostrato alla guida (e di questo ho fornito le prove) evidenti segni di stanchezza che potevano pregiudicare la sicurezza di tutti, essendoci accorti che aveva anche abbondantemente bevuto». Ma Sgarbi non lo “abbandonò” in una stazione di servizio, come l’ex impiegato ha denunciato, né gli versò 1.500 euro per comprare il suo “silenzio” sull’accaduto. «Era semplicemente il consueto corrispettivo per il suo lavoro di autista», replica. A far infuriare Sgarbi è anche il modo in cui Il Fatto è venuto in possesso di una serie di documenti utilizzati contro di lui negli ultimi giorni: «Il 19 ottobre attraverso la violazione di alcuni account di posta elettronica privati, sono stati rubati documenti e messaggi riguardanti la mia attività di storico e critico dell’arte», denuncia il sottosegretario, e nei giorni successivi «anche il contenuto di alcuni messaggi dell’account istituzionale del mio capo Segreteria è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano, circostanza che lascia presupporre la violazione anche di questo account». Ma il giornale «incurante delle condotte chiaramente delittuose che hanno portato alla diffusione di questi dati e di questi messaggi, li ha pubblicati per ricostruzioni false, frutto di grossolane manipolazioni, così concorrendo nei reati commessi dall’ignoto o dagli ignoti autori».


Le consulenze artistiche e i presunti favori

Il quotidiano diretto da Marco Travaglio viene poi accusato di aver pubblicato una serie di notizie false sul suo conto, per malafede o per errori nel condurre le sue inchieste, su una serie di attività di consulenza condotte negli scorsi anni da Sgarbi e sugli emolumenti che gliene sono derivati. Ecco quali. «Il Fatto Quotidiano, scrivendo il falso, ha scritto che la mia attività di direttore artistico sarebbe il corrispettivo di un mio intervento presso la Soprintendenza per sanzionare il progetto di un gabbiotto in cemento previsto per la realizzazione di un parcheggio. Altra diffamazione. In sostanza il giornale dai rapporti (peraltro esistenti da diversi anni) tra me e la Fondazione Pallavicino allude ed insinua ipotesi di reato, e cioè che io abbia agito per ottenere un beneficio economico. Un processo non alle intenzioni, ma alle supposizioni. Inutile sottolineare anche in questo caso la gravità, sotto il profilo penale, di simili accuse in mio danno». Avrebbe del comico poi lo “scambio di favori” paventato dal giornalista Thomas Mackinson con un’artista Barbara Pratesi, cui secondo il quotidiano Sgarbi avrebbe agevolato una partecipazione alla Biennale di Venezia in cambio della redazione, dietro compenso, di un testo. Fermo restando che quel testo era regolarmente retribuito e destinato «a una mostra che la Pratesi ha tenuto a Quarrata (Pistoia)», la donna – fa notare il sottosegretario – non ha mai partecipato alla Biennale di Venezia. «In questo caso l’intrepido diffamatore Mackinson confonde la partecipazione della Pratesi a una mostra curata da un’associazione privata denominata “Pro Biennale” con la più nota e prestigiosa Biennale. E questo sarebbe giornalismo? Si possono manipolare i fatti così impunemente?», si chiede Sgarbi nella nota.

Reati che non lo erano e reati reali

Sgarbi infine nega decisamente di aver mai venduto un dipinto di Tiziano – il Ritratto di Gentiluomo – di proprietà della fondazione da lui presieduta, la Fondazione Cavallini Sgarbi, come scritto sul Fatto del 28 ottobre. «Se fosse come scrive il giornale – e il giornale lo scrive senza alcuna forma dubitativa – tale atto sarebbe un reato da me compiuto». E invece, ribadisce Sgarbi, quel dipinto «non ha mai fatto parte della Fondazione Cavallini Sgarbi, la cui dotazione può essere facilmente consultata nelle sedi opportune: il quadro, esposto in mostre nazionali e internazionali, pubblicato e mai identificato nel patrimonio della Fondazione Cavallini Sgarbi, era di mia proprietà». Ancora sull’omissione di verifiche da parte del quotidiano, il critico d’arte nega recisamente di essere «nullatenente», come dimostra «la mia dichiarazione dei redditi e le mie proprietà», così come di non pagare la tasse. Se mai, precisa, «ho in corso, come milioni di italiani, una regolare procedura di rottamazione». L’elenco delle calunnie che il quotidiano avrebbe pubblicato ai danni di Sgarbi è lungo, lunghissimo, tanto da far presagire una richiesta di risarcimento danni per diffamazione monstre. E l’ultima stoccata ha a che vedere anche con il rispetto delle leggi, perché Sgarbi fa sapere che Il Fatto si sarebbe anche rifiutato nei giorni scorsi di pubblicare una lettera dettagliata con varie precisazioni scritta dal suo legale, «così violando l’art. 8 della Legge sulla stampa».

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