Lo staff, le verifiche, il consigliere diplomatico: così Giorgia Meloni è caduta nel tranello della telefonata fake

L’ufficio si è preso la responsabilità dell’errore. Ma la Farnesina è irritata. I controlli saltati e la scheda telefonica africana

Non solo le parole sull’Ucraina. Nello scherzo telefonico dei due burloni russi Vovan e Lexus alla premier Giorgia Meloni quello che colpisce è l’incredibile fallimento dei filtri di sicurezza di Palazzo Chigi. E mentre nell’opposizione c’è chi evoca Totò nella maggioranza si parla di un «atto di guerra ibrida». Ma è la catena di controllo che non ha funzionato. Quella che comincia dalla segreteria particolare della premier e finisce nell’ufficio del consigliere diplomatico Francesco Maria Talò. Che ieri si è preso la responsabilità per essere stato «tratto in inganno» da «un impostore». Il quale si è spacciato per il presidente della Commissione dell’Unione Africana il 18 settembre scorso senza che nessuno si accorgesse di nulla. E saltando vari protocolli di sicurezza.


Come Palazzo Chigi è caduto nella trappola di Vovan & Lexus

Le tappe dell’abboccamento le ricostruisce oggi la Repubblica. Che mette a fuoco anche la responsabilità della segreteria particolare di Meloni nella gestione del colloquio. Proprio quel giorno la premier stava preparando la missione all’Onu con i bilaterali con i paesi africani. Per questo, a quanto pare, la telefonata è risultata credibile. Il tranello si è svolto così:


  • il primo contatto è avvenuto tramite un’e-mail recapitata allo staff della presidente del consiglio, a quanto pare alla segreteria a cui è arrivato un numero di telefono da richiamare;
  • l’ufficio del consigliere diplomatico viene avvisato dalla segreteria;
  • il contatto viene considerato valido pur in assenza di una certificazione (per esempio attraverso il filtro dell’ambasciata italiana presso l’Unione Africana);
  • a quel punto è l’Italia a richiamare e Meloni cade nella trappola.

Con i suoi collaboratori Meloni ha ricostruito così l’accaduto: «Se l’ufficio diplomatico mi passa una telefonata attraverso il centralino di Chigi io devo darla per buona. Anche se avevo detto che qualcosa non funzionava, perché i toni del mio interlocutore non erano consoni. Nel merito ho ribadito le posizioni che tutti conoscono. Sul resto bisognerà andare a fondo su come sia potuto accadere, perché non deve accadere di nuovo».

La Farnesina

Il Corriere della Sera riferisce oggi che la Farnesina è irritata per l’accaduto. «Le cose gravi sono due. La prima è che un comico russo riesca a parlare al telefono con il presidente del Consiglio, nonostante un accento non indifferente, beffando le segreterie di Palazzo Chigi e lo staff della carica più importante del Paese. La seconda è che dello scherzo l’entourage del capo del governo si è reso conto ieri, a più di un mese dal fatto». A quanto pare uno degli elementi che ha consentito la riuscita della telefonata fake è che proveniva da una scheda telefonica africana. «Come quando ti svuotano il conto corrente con il phishing», dice a Repubblica un addetto alla sicurezza. Mentre c’è chi fa notare il timing: proprio mentre la Russia dice che è tempo di discutere «su una base realistica» la crisi ucraina, ecco che arriva la notizia che i leader europei sono «stanchi» di Kiev. Un tempismo da Guerra Fredda.

L’Ufficio del consigliere diplomatico Francesco Talò

Il Corriere scrive che chi si occupa di Africa nell’ufficio del consigliere diplomatico è la consigliera Lucia Pasqualini. Ma la responsabilità se l’è presa Talò con quel comunicato. Anche se non ha gestito direttamente lui la vicenda. Talò andrà in pensione tra qualche mese. Potrebbe spettargli la presidenza dell’Ispi. La strada della nota è stata per tanti suoi colleghi un’esposizione irrituale. Altri parlano di un «regolamento di conti» a Palazzo Chigi. Dove c’è una cesura – e una diffidenza non sanata – tra gli uomini e le donne dello staff di Meloni e i componenti delle strutture istituzionali. Il Fatto Quotidiano aggiunge che le verifiche in questi casi sono sostanzialmente tre. La prima è la lingua: se il funzionario africano non parla francese di solito qualcosa non torna, il colloquio sì svolto in inglese.

Le tre verifiche (saltate)

Poi c’è la verifica della corrispondenza tra il numero e il prefisso del paese d’origine. Infine i contatti tra gli staff, che dimostrano che l’interlocutore sia quello. Non si tratta di passaggi obbligatori, ma di prassi. Di solito dopo l’ufficio diplomatico concede il lasciapassare. E inoltra la telefonata al centralino riservato della premier che fa da ponte. Di solito, infine, viene fissato un orario successivo tra la richiesta e il colloquio. Nel caso della telefonata fake sarebbero saltate le verifiche dell’ufficio diplomatico. E la telefonata è stata inoltrata.

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