Riforma costituzionale, arriva in Cdm la bozza per il premierato: c’è la norma “anti ribaltone”

Domani il testo in Consiglio dei ministri, regge l’accordo di maggioranza siglato lunedì scorso

«Introduzione dell’elezione popolare diretta del presidente del Consiglio dei ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia». È il titolo del disegno di legge per la riforma costituzionale che la maggioranza punta ad approvare entro il prossimo anno. La bozza è stata già discussa in un vertice tra le forze di centrodestra, lunedì 30 ottobre. Buona parte delle anticipazioni sembrerebbero confermate e, domani, 3 novembre, lo schema di disegno di legge sarà vagliato dal Consiglio dei ministri, tra le proteste delle opposizioni che ritengono i contenuti troppo ipotetici per rientrare nella Carta costituzionale, dove invece la formulazione dovrebbe rispondere a principi generali. C’è anche chi ritiene che il governo stia usando la riforma costituzionale come «arma di distrazione di massa», citando Elly Schlein, per fare da scudo alle critiche sulla legge di Bilancio. Detto ciò, secondo gli stralci del testo riportati dall’Adnkronos, pare che Giorgia Meloni e i suoi ministri vogliano insistere sulla cosiddetta norma anti ribaltone. Ovvero, intervenendo sull’articolo 94 della Costituzione, l’articolo 4 del disegno di legge stabilisce che «in caso di cessazione dalla carica del presidente del Consiglio, il presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al presidente eletto, per proseguire nell’attuazione del programma di governo. In tali casi, ai fini del raggiungimento in ciascuna Camera della maggioranza per l’approvazione della mozione di fiducia, si computano solo i voti favorevoli dei parlamentari eletti in collegamento al presidente eletto, nonché dei parlamentari che hanno votato la mozione di fiducia al governo presieduto dal presidente del Consiglio eletto». Riformulando, se il premier eletto con suffragio universale e diretto dai cittadini “cade”, il Quirinale è a quest’ultimo, o a un esponente della sua coalizione, che deve dare la possibilità di ricostruire una maggioranza. Se i tentativi falliscono, si ritorna alle urne, senza che si possa fare ricorso a governi definiti tecnici o di altro colore politico che non rispecchi l’esito delle elezioni.


Lo scioglimento delle Camere se manca la fiducia alla coalizione vincente

Inoltre, l’articolo 4 della bozza prevede che il governo nominato dal presidente della Repubblica si presenti alle Camere entro dieci giorni dalla sua formazione «per ottenerne la fiducia». Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal presidente del Consiglio eletto – direttamente dai cittadini -, il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al presidente eletto di formare il governo». Se anche questo secondo tentativo non va a buon fine e non viene accordata la fiducia all’esecutivo, il presidente della Repubblica deve procedere allo scioglimento delle Camere. Ovviamente, nella bozza compare anche il cardine della riforma e che le dà il titolo: «Il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto, in unico turno, per la durata di 5 anni. Le votazioni per l’elezione del presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale».


Premio di maggioranza al 55% in Costituzione

Ancora, «il presidente del Consiglio dei ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura». Infine, il governo Meloni vorrebbe “costituzionalizzare” anche il premio di maggioranza al 55%. All’articolo 3 del disegno di legge, che interviene sull’articolo 92 della Carta, c’è scritto che «la legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegate al presidente del Consiglio dei ministri il 55% dei seggi nelle Camere».

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