A Milano i platani vanno in pensione per il clima. Quali sono gli alberi più resistenti per le città?

I progettisti spesso ricevono indicazioni di usare solo specie autoctone. Ma, dicono gli esperti a Open, il verde urbano è possibile solo con la biodiversità e la cura

«Sono caduti alberi sani, giovani, vecchi, vecchissimi. Responsabile, il vento». Così l’assessora al Verde di Milano Elena Grandi riassume la scena che gli abitanti del capoluogo lombardo si sono trovati di fronte la mattina del 25 luglio scorso. Sembrano passati anni, ma appena quattro mesi fa le strade erano bloccate, le auto distrutte, la città attonita di fronte agli almeno 5 mila tronchi divelti da venti che hanno superato i 100 chilometri orari. Eventi caratterizzati da questa violenza stanno diventando e diventeranno sempre più comuni. Le città devono farsi trovare pronte. Per questo – annuncia Grandi – la copertura arborea della città andrà modificata in modo da sopportare meglio le condizioni meteorologiche estreme. Tra le specie che ne faranno le spese ce n’è una che fa parte del panorama arboreo delle città italiane da secoli: il platano, che verrà sostituito in buona parte dai tigli e dai coriacei bagolari. I platani «sono alberi molto resistenti», ma «sono caduti come birilli», spiega Grandi, citata dall’edizione meneghina del Corriere della Sera.


«Gli alberi non sono sani»

Forse proprio da quest’ultima considerazione dell’assessora bisogna partire per capire che il discorso su quali alberi piantare nelle nostre città è solo uno dei molti da affrontare nella discussione su come il verde urbano dovrà cambiare per adattarsi a un clima più estremo e imprevedibile. I platani hanno sofferto i forti venti, ma molti di loro e degli altri alberi delle città italiane non erano e non sono piante sane già in principio, per una serie di fattori, dovuti a progettualità, assenza di biodiversità, e scarsa considerazione del verde pubblico. «Meno platani e più bagolari e tigli mi sembra una scelta superficiale. Sostituiamo una specie estremamente utilizzata ma mettiamo giù specie molto usate e quindi non aumentiamo la diversità», spiega a Open il professore di arboricoltura e scienze e tecnologie dei sistemi arborei e forestali Alessio Fini.


ANSA/ANDREA FASANI | Operai durante le operazioni di abbattimento dello storico ”platano di Giannasi” a piazza Bruno Buozzi, Milano, 5 aprile, 2023

La biodiversità e la cura

Fini evidenzia un problema legato alla biodiversità. «Per alcuni aspetti sostituire i platani con altri alberi può essere vantaggioso. Sono alberi resistenti ma sono molto presenti nelle nostre città, e ciò li espone a malattie e parassiti». Una di queste malattie è il «cancro colorato», che a discapito del nome non è autoimmune, ma causato da un fungo estremamente virulento in grado di uccidere gli alberi in 3 o 4 anni. Problemi simili possono verificarsi a tutte le specie arboree in città, e spesso vengono accentuati dallo stress climatico. «Ciascuna specie non dovrebbe superare il 10% del totale», spiega Fini, che fa notare come tigli e bagolari siano già specie molto presenti nel panorama urbano italiano. Aggiunge l’esperto: «Se poi gli alberi vengono capitozzati durante le potature si indeboliscono», aggiunge, suggerendo una possibile soluzione già in fase di valutazione a Palazzo Marino: «In certi casi andrebbero tenuti più piccoli».

WIKIMEDIA COMMONS / KONICA MINOLTA | Tigli capitozzati a Neudorf, in Germania

La progettualità

Ci si addentra così in un discorso di progettualità: «In Italia abbiamo perso la produzione delle piante in vivaio e siamo quindi costretti a comprarle all’estero». Ma ciò impedisce di progettare correttamente il verde pubblico. «Oggi viene disegnato lo spazio e poi si va nei vivai a cercare le piante. Ma la cosa giusta da fare sarebbe premunirsi degli alberi 3-5 anni prima. Le piante potrebbero essere così preparate con tecniche di precondizionamento, ovvero l’imposizione di stress controllato che può garantire maggiore tolleranza al trapianto. Oggi il grosso problema è questo. Piantiamo milioni di alberi raschiando il fondo dei vivai. Piantare non basta. Bisogna gestirle correttamente e servono le risorse necessarie», aggiunge ancora Fini. «Fin dalla fase di piantagione gli alberi possono subire stress se le condizioni del suolo non sono idonee a favorire la loro crescita», evidenzia Carlo Masera, architetto autore della riqualificazione del Parco delle Cave e del Boscoincittà di Milano.

Quali specie usare

Masera parla anche della scelta delle specie: «I progettisti spesso ricevono indicazioni di usare unicamente specie autoctone come per esempio nelle aree del Parco Agricolo Sud Milano. In questi casi sappiamo che alcune di queste piante, come la Quercia farnia, mal sopportano l’aumento delle temperature e della siccità. Andrebbero quindi sostituite con varietà più resistenti, come il Cerro, anche se non sono originarie del bosco della pianura lombarda». Dello stesso avviso Fini: «Per quanto riguarda le specie bisogna scollegarsi dal concetto di autoctono. Il carpino ad esempio è tra quelli che hanno sofferto nonostante sia tipico della pianura padana. Idem il faggio. Bisogna capire che nessuna specie è autoctona della città». In generale, «è stato osservato che gli ecotipi [ovvero le popolazioni tipiche di un certo areale, ndr] meridionali di norma sono più adatti alle alte temperature che sperimentiamo e sperimenteremo nelle città. Andrebbe usato quindi il materiale vegetale che viene da Sud, Aiutando a farlo migrare».

I benefici degli alberi in città

Queste soluzioni avranno però un impatto limitato finché il verde urbano non verrà considerato in tutta la sua importanza. La temperatura dell’aria estiva delle zone alberate arriva a essere fino a sei gradi inferiore rispetto a quelle senza vegetazione. Quella al suolo può avere una differenza prossima ai 20 gradi, fondamentale, in un mondo in cui le temperature sono in crescita costante. Gli alberi assorbono tonnellate di CO2, e rimuovono alcune particelle inquinanti, aiutano ad assorbire l’acqua quando piove troppo e in generale apportano benefici misurabili economicamente. «Ogni euro investito in un platano, ad esempio ha un ritorno di 24 euro – evidenzia Fini -. È una delle specie con il ritorno maggiore. Per i bagolari il ritorno è tra 7 e 8 euro». Spesso, tuttavia, gli spazi verdi sono gli ultimi ad essere pensati e non sempre nella maniera corretta. «Gestire una superficie boschiva in un parco costa 100 euro l’anno – evidenzia Masera – mentre gestirne una erbosa ne costa mille e ha molti meno benefici».

Tutto parte dal suolo

Infine, lo spazio in cui gli alberi vengono fatti crescere ha un ruolo fondamentale. «Parliamo di alberi ma per avere delle piante sane e nello stesso tempo contrastare le esondazioni e gli allagamenti sempre più frequenti bisogna curare il suolo. Finché le condizioni dei terreni non saranno buone gli alberi continueranno a morire con sempre maggior frequenza». Altro esempio: «Consideriamo che in molte
aree di trasformazione urbana le superfici dedicate al drenaggio naturale non superano il 10% o il 30% delle superfici edificabili in base al tipo di costruzione. Troppo poco. Il problema può essere risolto costruendo parcheggi interrati multipiano con riduzione della loro impronta sul suolo a beneficio dell’estensione delle superfici drenanti: è un problema di equilibrio tra costi e benefici, tra interesse privato e pubblico».

GOOGLE MAPS / Parterre di via Giosuè Borsi a Milano usato come parcheggio abusivo

Sinergia (interessi) tra pubblico e privato

L’intervento dell’amministrazione è fondamentale, ma anche i cittadini devono fare la loro parte: «Finché le aiuole stradali saranno utilizzate per parcheggiare le auto il suolo così compattato non avrà capacità di drenare l’acqua né di favorire la crescita e la stabilità degli alberi. Perché allora non togliere dai marciapiedi le auto sfruttando quelle migliaia di stalli disponibili in molte autorimesse sottoutilizzate, soprattutto per la sosta notturna? Penso ai parcheggi di molti supermercati, ma anche a quelli di uffici, università». In sintesi, «restituiamo lo spazio pubblico alle persone e creiamo le condizioni per avere un suolo sano e non compattato dove le piante crescono molto meglio, e avremo un verde più sano e meno alberi caduti nel corso degli eventi meteorologici estremi», conclude Masera.

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