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Melissa Panarello risponde alle accuse del libro di Amadori: «Mie parole usate come pretesto, non capisce nulla di questi temi» – L’intervista

22 Novembre 2023 - 17:38 Stefania Carboni
La scrittrice è citata nel libro del consulente di Valditara come simbolo di una rivoluzione che porterà alla guerra dei sessi: «Elena Cecchettin è come Ilaria Cucchi, trasforma il proprio dolore in qualcosa di giusto e di bello»

La tira in ballo, nel libro che sta facendo discutere tutta Italia La guerra dei sessi, opera di Alessandro Amadori, collaboratore del ministro dell’Istruzione Valditara, finito al centro delle polemiche per quelle righe che stridono con la sua missione di prevenzione alla violenza sulle donne nelle scuole. E lei, che di libri ne ha scritti tanti, non ci sta. Melissa Panarello, autrice del bestseller 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire adesso in libreria con il suo ultimo libro Girl Power – Planner per diventare te stessa (Giunti-Demetra) non vuole esser una fonte d’ispirazione alla guerra dei sessi di Amadori. Anzi, Amadori parla «a sproposito» del femminismo. «Equipara la violenza perpetrata dai maschi nei confronti delle donne alla cattiveria femminile, ma esser cattivi non è reato».

Amadori cita una sua intervista come prova di una pericolosa rivoluzione che porterà alla guerra dei sessi e che punta al predominio delle donne sugli uomini. L’ha fraintesa?

«Più che fraintendere la usa a sproposito, nel senso che io sostengo tutto il contrario di quello che sostiene lui. Credo che il suo pensiero sia estremamente misogino, nella misura in cui equipara la violenza perpetrata dai maschi nei confronti delle donne alla cattiveria femminile, senza riuscire a capire che esser cattivi non è esser violenti. Esser cattivi non è reato. Nel momento in cui una persona scrive un libro in cui sostiene che le donne possono esser cattive come gli uomini mi viene un po’ da ridere. È chiaro che le donne possono esser stronze come gli uomini non c’è bisogno che ce lo venga a dire lui. Il punto è che il reato avviene quando una persona di qualsiasi sesso prevarica un’altra persona. Le cronache ci dicono che i prevaricatori, nel 98 per cento dei casi, sono maschi. Lui nella fattispecie fa una cosa che fa molto ridere: prende degli annunci BDSM per dimostrare che le donne cercano gli schiavi così come gli uomini cercano le schiave. Il mondo BDSM è un mondo molto preciso, con delle regole, che non ha nulla a che vedere con l’abuso di potere psicologico, sessuale, economico che un uomo può esercitare su una donna. Usa tutto come un pretesto, le mie parole, il mondo del BDSM…».

Quindi ha letto il libro?

«L’ho letto proprio perché mi tirava in ballo. Guarda, il punto è molto semplice. Ognuno può scrivere quello che vuole, ci mancherebbe altro. Ma una persona di questo tipo, che crea una grossa confusione, che non capisce le cose che legge – dato che non ha nemmeno capito la mia intervista – mi fa suonare un campanello d’allarme sul fatto che collabori in un progetto tanto delicato come l’educazione relazionale nelle scuole. In nome di cosa è stato chiamato?»

Oggi il ministro Valditara ha presentato il progetto contro la violenza sulle donne nelle scuole: trenta ore extracurriculari, con dibattiti in classe. Che impressione ha?

«Non ho ancora letto il piano. Mi sembra di aver capito che vogliono coinvolgere gli influencer: la scuola è un luogo sacro. Ci sono in ballo le vite e il futuro di milioni di ragazzi in via di formazione. Ragazzi che hanno già le idee molto confuse, perché vengono da famiglie spesso disfunzionali, sono spesso lasciati soli o con informazioni sbagliate al momento sbagliato. Adesso che a queste giovanissime persone vengano dati elementi teorici da parte di persone che non hanno le competenze è scandaloso. Io stessa non potrei mai insegnare educazione sessuale a scuola: è una cosa talmente delicata, così importante che non puoi chiamare un influencer a dire ai ragazzi come amare, come gestire al meglio le proprie emozioni».

Ma nelle scuole si parla troppo o troppo poco di sesso?

«Il sesso è una cosa che si impara sulla propria pelle, con la propria esperienza, con i propri errori. Il problema qui sono le emozioni, il problema è la mancanza di empatia. E quella come la puoi insegnare? Le emozioni non si insegnano. Puoi dare degli strumenti, di tipo psicologico e di tipo pedagogico, per riuscire a dare forma alle proprie emozioni, a sviluppare l’empatia».

Lei è mamma. In questo ultimo caso di femminicidio si parla tanto delle famiglie. Oggi c’è la reazione dei genitori di Filippo Turetta, respingono le accuse di patriarcato in un’intervista al Corriere della Sera. Ma è colpa delle famiglie?

«Bisogna fare una distinzione tra la famiglia della vittima e quella del carnefice. Io credo che deresponsabilizzare l’individuo dando la colpa alle famiglie è quanto più di dannoso si possa fare: è chiaramente colpa dell’individuo. Se poi l’humus, da cui è venuto fuori quell’individuo, non è stato in grado di aiutarlo nell’espressione delle proprie emozioni, nella comprensione di ciò che può e non può pretendere dagli altri, nella fattispecie da una ragazza, sì, la famiglia diventa responsabile. Ma non si sono macchiate loro di un delitto. Io andrei molto cauta ad accusare persone che hanno fatto del loro meglio. Ognuno fa del proprio meglio come genitori. Mi fanno però pensare quando non hanno dubbi. Quando hanno solo certezze: di aver cresciuto il figlio nel migliore dei modi, di non aver commesso mai errori. Ecco lì cade tutto: perché in quanto esseri umani sbagliamo. Ora non è che da tutti gli errori nascono degli assassini, ma lasciano dei buchi che provocano voragini, quello sì. In base alla storia della mia famiglia dovrei essere una serial killer, ma alla fine ognuno riesce ad ottenere i propri strumenti. Il punto è questo: la famiglia patriarcale non è patriarcale perché il padre è il solo che decide o perché picchia la madre…Non è solo quello. La famiglia patriarcale è una famiglia che non ti dà gli strumenti per farti diventare autonomo. È una famiglia che vuole controllarti, che non crede nella libertà di autodeterminazione. E può anche esser composta anche da due madri».

Nelle scuole stavolta si è fatto un minuto di rumore al posto del minuto di silenzio. Sta cambiando anche la protesta o è solo un fuoco di paglia?

«Ho la sensazione che qualcosa si stia muovendo. Mi sembra un po’ quello che è accaduto con il caso Weinstein e con il Me Too. Anche lì sembrava dovesse chiudersi nel giro di poco tempo, eppure se ne parla ancora. E qualcosa, nel bene e nel male, si è mossa. Stavolta abbiamo una grandissima portavoce, la sorella di Giulia Cecchettin. Sta facendo un lavoro utile. Io la paragono a Ilaria Cucchi e alla lotta che ha fatto per suo fratello. Sono delle personalità che con coraggio affrontano quel dolore atroce per portare un po’ di giustizia. Ho molta fiducia in lei perché è una persona che sta trasformando il proprio dolore in qualcosa di giusto e di bello. Spero di duraturo. Questa volta non è stata più grave delle altre volte. Però stavolta anche le persone meno interessate al tema si sono sentite toccate. Perché Giulia somigliava a tutte noi. Giulia era molto simile alle ragazze che quasi tutti gli uomini conoscono. E questa cosa li ha toccati profondamente».

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