Marracash replica alle accuse sui presunti legami con il boss: «Non sono al servizio di nessuno e non ho mai inneggiato a criminali»

Il “Fatto Quotidiano” parla di una nota della polizia penitenziaria che legherebbe il rapper e Guè Pequeno al boss Nazzareno Calajò. Il cantante: «Basta con questo clima di denuncia contro un genere musicale»

Una nota della polizia penitenziaria allegata a un’indagine dei pubblici ministeri Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco accusa due rapper, Marracash e Guè Pequeno, di essersi messi al servizio di un boss: Nazzareno Calajò, detto Nazza. A lanciare l’accusa è Il Fatto Quotidiano in un articolo pubblicato questa mattina e intitolato Gli inchini live di Guè Pequeno e Marracash: “I rapper al servizio del boss”. Nessuno dei due rapper è indagato, eppure – ricostruisce il quotidiano – il 10 luglio scorso durante un concerto all’Ippodromo di San Siro a Milano Guè avrebbe salutato pubblicamente il boss: «Nazza libero! Free Nazza! Una mano su!». Mentre il 21 settembre scorso sul palco del Forum di Assago Marra avrebbe salutato proprio Nazzareno Calaiò. E anche Kalash, alias Alessandro Calaiò, figlio del boss. In serata, è il rapper stesso a negare la ricostruzione del quotidiano, spiegando di non aver «mai detto “Free Nazza”».


I ringraziamenti

«Ci tengo a ringraziare la gente del mio quartiere venuta a queste serate. Mattia (Mattia Di Bella, altro cantante, in arte Young Rame), Kalash (Alessandro Calaiò), Momo e soprattutto il grande zio Nazza. Un abbraccio!», dice Marracash. E Luca Calajò, presente al concerto, manda tutto alla zia e alla moglie di Nazza: «Fai un video, lo zio che ringrazia Marracash, l’ha salutato davanti a tutti, fai fare un video allo zio». Nazzareno Calajò a luglio era in carcere con l’accusa di traffico di droga, mentre a settembre si trovava agli arresti domiciliari. La polizia penitenziaria scrive: «È noto che la famiglia Calajò domini il quartiere Barona e il suo predominio lo ha ottenuto anche grazie al consenso di parte della popolazione residente, alimentato mediante numerose comparse dei principali esponenti della famiglia criminale nei videoclip di famosi cantanti rapper come Guè Pequeno, Marracash e Young Rame il cui tema principale è l’ostentazione del lusso, del denaro facile e l’esaltazione della violenza».


Le magliette e i soldi

La fama e il successo dei rapper, spiega Il Fatto Quotidiano citando la procura, servono al tornaconto del boss, anche per professare la sua innocenza. Mentre proprio Nazza, intercettato, spiega: «Altro che non servono a un cazzo i cantanti, i cantanti servono!». Gli dedicano anche le canzoni: «Adesso m’hanno fatto una canzone per me Marra, Guè e lui (Young Rame). Compongono le canzoni per me! Hai capito? Guè pure mi ha fatto una canzone: Il tipo». Ma non finisce qui. La procura, continua la ricostruzione del Fatto, spiega che la solidarietà dei rapper si vede anche dalla produzione di magliette con la scritta “Nazza libero” e “Verità per Nazza”, indossate dai due nei videomessaggi sui social. All’inizio Marracash avrebbe fatto un po’ di resistenza, spingendo Nazza a dargli del «traditore» e dell’«infame» e, infine, a fargli cambiare idea.

La replica di Marracash

«Non sono mai stato e mai sarò al servizio di nessuno». È Marracash il primo a replicare all’articolo del Fatto Quotidiano. E lo fa pubblicando una serie di storie su Instagram: «Non è la prima volta – scrive – che parlo di questi fatti e di queste persone, anzi lo faccio più o meno da 20 anni nelle canzoni e nelle interviste. Ma è la prima volta che questa cosa viene utilizzata in questo nuovo clima di denuncia del nostro genere musicale». Il riferimento è al presunto saluto che sia Marra che Guè avrebbero rivolto in due diverse occasioni a «Nazza», il boss in carcere per spaccio di droga. Dal palco del Forum di Assago, precisa Marracash rispondendo alle accuse, «non ho mai inneggiato alla liberazione di criminali e non ho mai detto “Free Nazza”». Semplicemente, continua il rapper della Barona, «ho salutato una persona che conosco, come uomo, da quando sono ragazzo».

Marracash spiega poi che crescendo nella periferia sud di Milano è entrato più volte in contatto con realtà criminali. Per il semplice fatto che «esistono, ma questo non mi ha impedito di essere una brava persone né di saper distinguere il bene dal male». Per quanto riguarda le polemiche sul videoclip di Infinite Love, in cui compaiono diversi pregiudicati, il rapper milanese spiega che non c’è alcuna ostentazione della violenza, anzi. «Lo scopo – prosegue il messaggio del rapper – è promuovere l’unità e la fratellanza tra quartieri proprio per cessare le rivalità e descrivere il disagio di chi resta intrappolato in una certa vita». Infine, Marracash chiude con una considerazione generale sulla vicenda: «È davvero mortificante realizzare che in questo momento il genere musicale più popolare e giovane in Italia sembra davvero essere sotto strategico attacco da parte di un certo tipo di istituzioni e di giornalismo. Generici attacchi ai testi dei cosiddetti “trapper”, decontestualizzati e spogliati della musica fino a renderli indifendibili, poi le feste in piazza che saltano per una rilettura faziosa e ignorante di interpretazioni di realtà drammatiche che purtroppo esistono e che nel rap trovano semplicemente voce nonché denuncia».

Nota: Questo articolo, la cui versione originale è stata pubblicata alle 7:08 dell’8 dicembre, è stato modificato nel corso della giornata per chiarire alcuni passaggi e aggiungere la replica di Marracash

Foto di copertina: ANSA/Yuri Laudadio | Marracash durante la presentazione del libro “Ero un bullo” (Vimodrone, 10 gennaio 2022)

Leggi anche: