Gino Paoli: «La morte di Luigi Tenco? Un colpo di teatro non riuscito, forse voleva imitarmi»

La vita e la carriera, le donne e le amicizie: attaccai al muro Lucio Dalla a Sanremo

Il cantante Gino Paoli riepiloga oggi la sua vita e la carriera musicale. E dice che la morte del suo amico Luigi Tenco è stato «un colpo di teatro non riuscito. Come se avesse voluto imitare me: spararsi e restare vivo». Paoli racconta cosa gli è accaduto nel 1963, anno in cui uscì la sua hit Sapore di Sale: «Avevo tutto, e non sentivo più niente. Le due donne più belle d’Italia, Ornella Vanoni e Stefania Sandrelli, erano innamorate di me. In garage avevo una Porsche, una Ferrari e una Flaminia Touring. Cos’altro potevo avere? Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte». Per questo, dice in un’intervista con il Corriere della Sera, ha preso una pistola e si è sparato al cuore. «La morte non mi fa paura. Il mio amico della vita, Arnaldo Bagnasco, era semmai convinto che fossi depresso per l’incidente stradale in cui era rimasto ucciso un giovane musicista. Io invece penso che la molla decisiva sia stata la guerra».


La consuetudine con la morte

La seconda guerra mondiale, spiega Paoli nel colloquio con Aldo Cazzullo, gli ha dato «consuetudine con la morte». E dice che non scorderà mai «la fila di cadaveri allineati sul ponte di Recco» dopo il bombardamento degli Alleati. «Odore di benzina, di ferro, di morte. La fila di gente con i piedi in avanti non la dimenticherò mai». Poi spiega come la pensa: «Sono convinto che i beni dell’intelletto e della natura vadano messi in comune. Ma il comunismo doveva essere una tappa verso la libertà, l’anarchia. “Anarchie avec une A grande comme amour“, diceva Léo Ferré». Di cui ricorda che la moglie, stanca dei suoi tradimenti, sparò ai due cani e alla scimmia Pepée, che adorava. Paoli invece da giovane praticava la boxe e fece a botte con il boss della mala del Brenta Felice Maniero: «Stava picchiando una donna. Lo fermai e mi diede un cazzotto bellissimo sul mento». Poi gli spiegò che lei l’aveva tradito mentre lui era in carcere. E che ora rischiava di essere riportato dentro.


Quella notte di luglio

Paoli racconta di quando finì in carcere per aver picchiato uno che stava bastonando un cane. E di quella volta che diede un pugno a una persona che lo accusava di portare sfiga perché si vestiva sempre di nero: «Poi gli dissi: hai visto? La sfiga è arrivata davvero». Torna a raccontare della notte dell’11 luglio 1963: «Provo con i barbiturici, il Nembutal, annaffiati con il calvados, ma non mi fanno niente. Penso di gettarmi di sotto; ma non voglio dare a mia madre il dolore di vedere un figlio straziato. Mi ricordo di avere due pistole. Faccio le prove sparando con la Derringer calibro 5 dentro un libro bello spesso, e vedo che il proiettile entra in profondità. Così mi corico sul letto, e mi sparo. Non alla testa, sempre per non dare quel dolore a mia madre. Al cuore». Il proiettile si ferma nel pericardio: «È ancora lì, e mi tiene compagnia; ha anche smesso di suonare al metal detector. Meglio così. Ogni volta spiegavo: ho una pallottola nel cuore. E nessuno mi credeva».

Luigi Tenco

Dice poi che Tenco gli telefonò dicendogli: «Sono a letto con Stefania (Sandrelli, ndr)». Ma lo fece perché «era legatissimo alla mia prima moglie, Anna. Era il suo modo di dirmi che Stefania non era la donna giusta per me». Rivela che loro due andavano in giro per locali con l’immagine di poeti maledetti, ma «in realtà Tenco era un gigantesco cazzone. Adorava gli scherzi». Il suo preferito era avvicinarsi a qualcuno con la cravatta e tagliargliela con delle forbici che nascondeva in tasca». Il suo suicidio, sostiene Paoli, è stato «un colpo di teatro non riuscito. Come se avesse voluto imitare me: spararsi, e restare vivo. Andava molto una droga arrivata dalla Svezia, il Pronox, che ti dava un senso di sdoppiamento, come se non fossi più responsabile di te stesso… Appena arrivò la notizia mi precipitai a Sanremo. Il festival andava fermato; e se fossi stato in gara sarei riuscito a fermarlo. Incontrai Lucio Dalla, e lo attaccai al muro».

Ornella Vanoni

Di Ornella Vanoni dice che «io le ho insegnato a cantare: senza di me avrebbe continuato con le canzoni della mala con cui lei, di famiglia borghese, non c’entrava nulla. Ornella mi ha insegnato il sesso. Ero pieno di sensi di colpa. Con lei ho imparato a parlare facendo l’amore. Prima andavo a letto con chiunque respirasse; con Ornella ho scoperto la libertà e la naturalezza». Racconta che era diventato prigioniero della droga: «Per due anni. Avevo iniziato con un canna, per recuperare la voce. Poi ho provato cose sempre più pesanti. Ma quando hanno arrestato il mio pusher, ho smesso. Non per virtù; per necessità». E poi l’alcool: «Per vent’anni mi sono scolato una bottiglia di whisky al giorno. Ora, come vede, non bevo neppure il pigato».

Chet Baker, Giorgia Meloni, Elly Schlein

Infine racconta della sua amicizia con il trombettista Chet Baker: «In Versilia aveva trovato un medico che gli passava farmaci con la morfina. Solo che doveva bucarsi più volte al giorno. Andò in crisi, non si trovava un angolo di pelle dove iniettargli il metadone: alla fine lo bucarono qui, sotto l’occhio, e lo salvarono». Dice che Giorgia Meloni gli sembra «piccola, dura, tosta. Sono contento che ci sia una donna a Palazzo Chigi. Dovremmo eleggerne di più». Mentre Elly Schlein «è un mistero. Non conosco la sua storia né come guida il suo partito. Trovo interessante Greta Thunberg. La barca affonda, e a bordo ci siamo tutti».

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