Report, Vittorio Sgarbi e la storia del quadro di Manetti rubato – Il video

Il sottosegretario: «Falsità, non sono Diabolik». La nuova inchiesta dei carabinieri e il dettaglio del lembo di tela

E alla fine il servizio su Vittorio Sgarbi e i quadri rubati va in onda a Report nonostante le diffide. Il sottosegretario alla Cultura del governo Meloni ha provato fino all’ultimo a bloccarlo. Ma senza risultati. E così l’inchiesta sul dipinto La cattura di San Pietro di Rutilio Manetti racconta la storia dell’opera rubata nel 2013 dal castello di Buriasco in Piemonte. I ladri l’hanno tagliata via dalla cornice e l’hanno sostituita con una grande foto. Sgarbi invece sostiene di averlo ritrovato per casa durante i lavori di Villa Maidalchina a Viterbo. Poi l’ha esposto durante una mostra su Caravaggio e i suoi allievi. Nel servizio di Manuele Bonaccorsi in collaborazione con Thomas Mackinson del Fatto Quotidiano si nota che tra il dipinto esposto e quello rubato c’è una differenza.


La fiaccola

In alto a sinistra nell’opera esposta da Sgarbi a Lucca appare infatti una fiaccola che nell’originale non c’è. «Il catalogo dice chiaramente che era a Villa Maidalchina», spiega il sottosegretario. Si tratta di una residenza nobiliare che nel 2000 viene acquistata da Rita Cavallini, la madre di Sgarbi. «Era un immobile in stato d’abbandono», spiega l’ex proprietario Luigi Achilli. Che dice di non sapere di sottotetti. Ma l’opera era citata tra i beni in un inventario precedente, secondo Sgarbi. Dove si parla di alcuni quadri di San Pietro e Santa Caterina, ma non di quello di Manetti secondo il servizio di Report. A Buriasco nel torinese sorge il castello di Margherita Buzio, che è la persona che ha denunciato il furto. «Mi hanno tagliato la tela e graffiato la cornice», racconta. Ma hanno lasciato un lembo della tela. Forse strappato nel momento della rimozione.


La foto

La foto è stata messa per evitare che la proprietaria se ne accorgesse subito. Buzio denuncia tutto ai carabinieri, perché il Manetti è l’unico oggetto rubato. Nel servizio si racconta che Sgarbi adocchiò il quadro negli anni precedenti dopo un pranzo nel castello, che all’epoca ospitava un ristorante. «Nelle settimane precedenti al furto alcune persone avevano chiesto di acquistare il castello, ma avevano interesse per il quadro. Io volevo vendere tutto e non solo il dipinto». Paolo Bocedi, la persona che si è presentata, è il presidente dell’associazione Italia Libera. È stato collaboratore di Sgarbi fino al 2003. Ma ha conservato ottimi rapporti con il sottosegretario. Bocedi ricorda di aver visto il quadro con Pasquale La Mura, autista di Sgarbi, per chiedere del quadro e della sua possibile vendita.

Il restauratore Gianfranco Mingardi

Il restauratore Gianfranco Mingardi è invece la persona che ha restaurato il quadro su richiesta di Sgarbi. Dice di averlo ricevuto proprio da Bocedi, che è anche presidente di un’associazione antiracket in Lombardia. «Per me sarebbe una bella figura di merda», dice durante il servizio. Mingardi conferma che l’opera esposta a Lucca è quella restaurata nel suo studio. Ma dice di non sapere nulla della fiaccola. «Con una candela non diventa più riconoscibile», spiega il restauratore. Spiega di aver chiamato al telefono Sgarbi per farsi mandare un documento di proprietà, che non è mai arrivato. «Non può essere rubata perché stava alla Maidalchina», dice Sgarbi. Che poi trova anche alcune diversità tra i due dipinti. E dice che si tratta di «coincidenze».

I carabinieri

I carabinieri alla fine vanno nel castello. Esaminano proprio quella piccola porzione di tela rimasta attaccata al quadro durante il furto. Sgarbi invia via Pec una diffida a Report e alla Rai. Sostiene che il servizio «potrebbe influenzare a scapito della presunzione d’innocenza, dell’equo processo e della tutela della privacy dell’imputato. Lo Stato è, perciò, obbligato ad adottare misure dissuasive e restrizioni alla libertà di stampa per tutelare questi diritti fondamentali». In una nota successiva sostiene: «Le illazioni non sono servizio pubblico. Sono insinuazioni come quelle sulla gerontofilia e cleptomania attribuita da alcuni pettegoli a Davide di Pietro».

Davide Di Pietro

«Non sono informazioni, ma pettegolezzi, che vengono da persone inaffidabili, fatte passare per testimoni. Consapevole della loro falsità, di Pietro riterrebbe opportuno mandare in onda una trasmissione che lo accusasse di tali invenzioni? L’intimidazione è di Report. Nessun ‘caso’ mi riguarda. Io non ho mai, di tanti, acquistato un quadro rubato». Davide Di Pietro è il consigliere dei dipendenti Rai in consiglio di amministrazione, è stato eletto a novembre. «Non c’è spazio per intimidazioni o diffide, Report continuerà a trasmettere ed informare i cittadini. Senza esitazioni, il Servizio Pubblico Rai è compatto dietro Sigfrido Ranucci ed il suo gruppo di lavoro», ha scritto ieri su Twitter.

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