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Report, una telefonata segreta avvertì Cossiga dell’omicidio di Aldo Moro? «Improbabile, ma bisognava fare di più per salvarlo»

08 Gennaio 2024 - 04:57 Redazione
report aldo moro telefonata segreta cossiga
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L'allora segretario del ministro dell'Interno Luigi Zanda: per quale ragione si doveva tardare?

Una telefonata rimasta segreta alle 9,30 del 9 maggio 1978 avvertì l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga che le Brigate Rosse avevano ucciso Aldo Moro? Lo ha detto Claudio Signorile, all’epoca vicesegretario del Psi, a Report. Secondo il racconto dell’ex parlamentare quel giorno lui si trovava proprio nell’ufficio di Cossiga quando arrivarono due messaggi attraverso il “cicalino”, ovvero un apparecchio che serviva ad inviare alert nel sistema interno del ministero. Dopo aver letto i due testi, è il ricordo di Signorile, Cossiga disse che doveva dimettersi. Soltanto alle 12,30, dopo la telefonata di rivendicazione di Valerio Morucci, l’Italia seppe della morte del segretario della Democrazia Cristiana. Ma c’è chi non crede a questa ricostruzione. È il caso di Luigi Zanda, all’epoca portavoce e assistente politico proprio di Cossiga.

La ricostruzione

«Premesso che sono fatti avvenuti 46 anni fa, e io non ero presente all’incontro con Signorile, non ricordo che Cossiga sia stato informato dalla polizia qualche ora prima rispetto a quando ne fu data notizia pubblica. A mia memoria questo lungo intervallo di alcune ore, non ci fu», dice Zanda oggi a Repubblica. Ma c’è di più: nascondere, anche soltanto per alcune ore, la notizia del ritrovamento del cadavere di Moro sarebbe stata difficile: «Anche perché circolava tra molte persone. E non vedo quale potesse essere la ragione di un ritardo». Signorile, fa notare Zanda, aveva già rivelato la circostanza alla commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro presieduta da Giuseppe Fioroni. Zanda ricorda che seppe del ritrovamento della Renault 4 rossa in via Caetani tra Botteghe Oscure e piazza del Gesù nel suo ufficio al Viminale.

Via Caetani

«Non ero con Cossiga», dice oggi Zanda. «I fatti successivi si svolsero con molta velocità, fino alle quasi contestuali dimissioni di Cossiga», ricorda nel colloquio con Giovanna Casadio. La lettera di dimissioni era stata scritta all’epoca del sequestro. Sull’ipotesi di coinvolgimento dei servizi segreti, ricorda Zanda, «Cossiga mi disse più volte che in quei 55 giorni di sequestro nessun servizio segreto di nessun paese, alleato o no, aveva concretamente aiutato l’Italia né con informazioni, né con investigazioni. Da parte mia ho sempre immaginato che l’Italia, non solo nell’omicidio di Moro, ma durante tutto il terrorismo, fosse monitorata dai servizi segreti di molti Paesi stranieri, che però non avevano nessuna intenzione di esporsi collaborando con l’Italia, per la preoccupazione di restare coinvolti in una vicenda di enorme gravità».

Sostiene Zanda

Zanda sostiene che Cossiga nel caso può aver fatto errori, «ma ha fatto tutto ciò che poteva per liberare Moro. Mentre l’errore su Gradoli/Via Gradoli l’ex segretario di Cossiga lo spiega così: «Fu Umberto Cavina, il segretario di Benigno Zaccagnini, a dirmi di Gradoli un paese sulla Cassia. Presi l’appunto su un suo biglietto e lo misi in cassaforte. Ma il pensiero che per salvare Moro si potesse fare di più e meglio, è un chiodo fisso nella mia mente e mi accompagnerà fino all’ultimo giorno».

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