«L’esaltazione del modello Ferragni è finita, ora la politica intervenga anche sull’uso ossessivo delle immagini dei figli» – L’intervista

La crisi della regina dei social spiegata da chi per primo aveva messo in dubbio la sua figura. Parla Federico Mello, giornalista e autore Rai: «Ferragni ha perso la sua grazia mediatica. Con questo scandalo gli influencer hanno perso la loro innocenza»

Federico Mello, giornalista Rai, hai scritto di Chiara Ferragni, quando Ferragni era mediaticamente intoccabile. Nel tuo libro “Essere Chiara Ferragni”, uscito due anni fa per Compagnia Editoriale Aliberti, parli della sua ascesa, vista più come una valanga, che rotolando ingrossa sé stessa. Ora, dopo il Pandoro gate, è davvero la fine di Chiara Ferragni?


«Secondo me sì. Per due semplici motivi. Nel libro c’è un lungo capitolo che si intitola “Mega racconto”, ovvero il racconto di Chiara Ferragni, che è sempre stato megalomane. Un po’ per una sua strategia di marketing, un po’ perché anche i giornali e la tv quando si avvicinavano a lei lo facevano con toni megalomani. La cornice generale era eccessiva. Le Gallerie degli Uffizi la definirono «una sorta di divinità contemporanea», Vanity Fair scrisse che era come una Madonna. Tantissime persone la vedevano come una futura presidente del Consiglio. Oggi gira molto uno spezzone di Rai 2, con la lunga intervista fattale da Simona Ventura, dove Ferragni era definita la persona più influente al mondo. E le parole ironiche: “Ah tu sei amministratore delegato, quindi se ci sono problemi poi finisci in galera”».


Ecco, Ferragni ha alimentato ed è stata baciata da questa fortuna mediatica. E lei a differenza di altri influencer è immagine in purezza. Per rimediare se fosse Benedetta Rossi o Clio Make Up si potrebbe metter a cucinare, dare consigli di cosmesi. Invece lei può solo fotografare sé stessa. E se il brand ha subìto danni seri fatichi a riprenderti. Sicuramente non c’è più il “mega racconto” che l’ha portata nell’olimpo mediatico, quello stato di grazia. E poi c’è un’altra questione…»

Quale?

«Lei ora per tornare a comunicare su cosa è andata? Sui figli. Io penso che di tutte le critiche che si possono fare alla Ferragni una è lo sharenting, ovvero l’uso commerciale dei propri bambini. Se si analizzano i post, in quelli con i figli ci sono il doppio dei like. Chiaro che ci sia una strategia commerciale. In più questi bambini vengono spalmati in tutti i profili, come degli asset commerciali: sui profili dei loro genitori, su quello delle sorelle, quello di Fedez e perfino su quello che era il profilo del loro cane, Matilda. So che l’Agcom sta riflettendo su questo tema. In Francia ci sono delle regole chiare che vietano lo sfruttamento dell’immagine dei minori in questo modo. Faccio una forzatura: sembra paradossale che una madre che ha sfruttato i suoi figli come in un Truman Show sia caduta poi per una finta comunicazione su dei bambini malati».

Chiara Ferragni, in uno scatto dopo il Caso Balocco e giorni di indiscrezioni sulla presunta crisi matrimoniale con Fedez

Parliamo allora del caso Ferragni e del ddl che lo ha seguito. Multe fino a 50 mila euro, con sanzioni pubblicate anche sui siti degli influencer e dei produttori responsabili. Rischio di sospensione di un anno dell’attività. Il tutto se non si dichiara “sui prodotti promossi le finalità dei proventi e il destinatario della beneficenza”. Ma questa è davvero una legge che colpisce il mondo degli influencer?

«Secondo me è un primo passo. Anzi un secondo, dato che l’AgCom ha di recente approvato delle linee guida. Vedo queste regolamentazioni positive ma manca un ultimo tassello: tutelare la dignità dei bambini sui social. Non possono esser dati a milioni di followers in maniera ossessiva. Finora sul tema c’è stata una anarchia totale».

Chiara Ferragni è stata la regina degli influencer. Oggi ci sono influencer per ogni cosa: dalla cucina, ai prodotti per la casa, perfino sulla genitorialità, con appunto i figli coinvolti nell’attività social del genitore. Ma oltre alla caduta del mito Ferragni si può parlare della fine dell’era degli influencer?

«Non direi la fine degli influencer ma la fine dell’innocenza. C’è stato finora uno sguardo troppo indulgente su questo fenomeno. Sono stati visti spesso come modelli positivi, dalla stampa, specialmente on line, per una ricerca spasmodica di click. Ma in fondo sono al 99 per cento dei televenditori, una sorta di “Giorgio Mastrota 2.0“. Attività legittima eh, non ho niente contro Giorgio Mastrota ma se si parla di modelli di riferimento ci si dovrebbe riferire ad altro. E poi, la tua osservazione, “Ferragni regina degli influencer“… Lo è stata, sicuramente. Ma lo è stata perché lei ha fatto un salto».

Quale?

«Un salto politico. Ha fatto una virata. Ha scelto di prendere posizione politicamente. Su diritti civili, parità uomo-donna. Poco altro, non ha mai detto una parola sull’ambiente. Questo le ha fatto fare un salto rispetto a una Giulia De Lellis, un Gianluca Vacchi, una Clio Make Up. È diventata una figura che interveniva nell’arena pubblica. E questo le ha dato una visibilità estrema, un potere mediatico. Il dubbio, avanzato da me e pochi altri critici, è che questo fosse strumentale al marketing. Anche perché fai una presa di posizione sulla parità di genere ogni due mesi e questa è soffocata da mille post pubblicitari: mi viene in mente che è fatta per parlare a target specifici. La politica, l’attivismo, sono fatti di impegno, di incontri, di confronti: non può esser una dichiarazione estemporanea che non costa niente.

Chiara Ferragni alla manifestazione contro la violenza alle donne a Milano, 25 novembre 2023. Foto ANSA/Michela Nana

E posso dire? Trovo assurdo che la sinistra italiana si sia fatta irretire da questo tipo di marketing. Chiara Ferragni vista come un’influencer di sinistra. Queste sono cose che allontanano la gente nel votare a sinistra. Lei ha flirtato e il Pd ha flirtato con lei. E non ha portato un voto. Ricordiamo anche con Conte, l’appello fatto dai Ferragnez durante la pandemia…Ma come si fa a non vedere che lei rappresenta il lusso ostentato, la “pornografia della ricchezza”? Le parole di Giorgia Meloni su di lei, che le opposizioni hanno tanto criticato, mi sono sembrate di buon senso. Ora, con il senno di poi vediamo i pandori, le uova di Pasqua, le bambole. Ma quello che lei ha fatto con la beneficenza lo faceva anche con la politica. Rimane un mistero che qualcuno ci abbia potuto credere».

TikTok è sempre più un social per tutte le fasce di età. Anche qui un social che va per autopromozione, videoselfie. Ha creato un nuovo modello di influencer rispetto ad Instagram?

«TikTok ha condizionato tutti gli altri social. Facebook, Youtube si sono Tiktokizzati. La tendenza dei social non è più metterci in contatto con le persone che conosciamo…».

Come era agli albori Facebook…

«Esatto. Instagram in parte manteneva questo, ti fa vedere influencer ma ti fa seguire anche le persone che conosci. Ora TikTok suggerisce contenuti di persone che non hai mai visto, che l’algoritmo ti propone perché ti ha studiato. Il contenuto diventa “televisivo”. Prima su Instagram se non si seguivano un centinaio di persone si vedeva poco o nulla. Adesso posso rimanere su TikTok senza seguire nessuno. Continuerà a propormi sempre qualcosa, all’infinito. Lo spostamento è tra i social delle connessioni, degli interessi a quello di proposta di contenuti da parte di estranei, spesso professionisti. Un “iper” televisione, iper personalizzata e iper compulsiva. E sono andati dietro anche Facebook, Instagram, X. Questo dieci anni fa non esisteva. L’algoritmo sceglie, anche nelle news. Questo ha fatto crollare la qualità e porta a una deriva manipolativa. I social fanno soldi tenendo l’utente di più e vendendo di più. E questo non è buono».

Parliamo di algoritmi ma anche di IA. In Italia non si parla molto di etica sull’intelligenza artificiale. Stiamo ancora dormendo?

«Vale per l’Italia ma anche per gli altri paesi. Noi qui abbiamo Luciano Floridi, uno dei più grandi eticisti su questo tema e abbiamo una testa su questi temi. Ma il punto è che da una parte le big tech chiedono “regolateci“. Lo chiedono in virtù di quello che non è stato fatto per i social. Ma se vedi le dinamiche reali, per esempio tutta l’operazione di defenestramento e rientro di Sam Altman da OpenAi… Microsoft ha superato Apple in borsa. La verità è un’altra. La mentalità della Silicon Valley è profit first, totalmente sul valore di mercato. Una dimensione etica non c’è. Abbiamo aziende che per quanto blaterino di diritti, etica pensano al profitto. Sono così grandi che facendo politica woke crescono. E gli Stati non sono abbastanza forti per contrastarle. Viviamo una sorta di “dittatura” delle big tech. Questo è un serio problema. Il woke capitalism, il capitalismo cosiddetto progressista delle aziende, è solo un modo per proteggersi dalle regolamentazioni, dal pagare le tasse. La vedo nera perché l’IA sarà uno strumento potentissimo ma se usato solo sul profitto avremo problemi grossi».

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