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La lettera su Emanuela Orlandi incinta a Londra è un falso: «Costruita con un dropping»

emanuela orlandi lettera londra incinta
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La grafologa forense Sara Cordella spiega a Open che la missiva mostrata da Pietro Orlandi a Verissimo è stata artefatta

Domenica 4 febbraio Pietro Orlandi, fratello di Emanuela Orlandi, ha presentato durante un’intervista a Verissimo su Canale 5 una lettera che dimostrerebbe che la sorella ha vissuto a Londra fino al 1997 in un appartamento gestito dai Padri Scalabriniani. Ma la missiva è un falso. Esattamente come quella dell’arcivescovo di Canterbury di cui si è parlato nel maggio 2023. A confermarlo a Open è la grafologa forense Sara Cordella, specializzata in grafologia criminologica, iscritta all’albo dei periti del Tribunale di Venezia e docente. Orlandi ha spiegato a Silvia Toffanin di aver ricevuto la missiva da una persone che lo ha contattato poco più di un anno fa sostenendo di essere «vicina agli ambienti dei Nar».

Gli «ambienti dei Nar»

I Nuclei Armati Rivoluzionari erano un’organizzazione terrorista neofascista italiana. Questa persona, di cui il fratello di Emanuela non ha fatto il nome, gli ha detto di averla vista a Londra in un appartamento vicino al suo. E gli ha dato una presunta lettera del cardinale Ugo Poletti inviata il primo febbraio del 1993 all’ex Segretario di Stato del Regno Unito. Nella missiva si parla della «soluzione immediata del problema totalmente inaspettato e indesiderato». E si sostiene che sia di vitale importanza «che la signorina Orlandi rimanga viva e in salute». Sostenendo anche che la ragazza fosse incinta e che il Vaticano abbia chiesto l’aiuto della Gran Bretagna per interrompere la sua gravidanza. Dopo avergli inviato i documenti, ha raccontato Pietro Orlandi, la persona è sparita dai social network cancellando tutti i suoi account.

La presunta lettera firmata da Poletti mostrata durante la trasmissione Verissimo

Perché la lettera è falsa

Mentre nel 1993 Poletti non era già più vicario di Roma, anche se la lettera porta l’intestazione del Vicariato. Ma su questo Pietro Orlandi ha sostenuto che «all’epoca, per documenti particolari, venivano inserite delle cose, per cui se fossero diventate pubbliche si poteva dire che era un falso». In effetti, spiega Cordella, la lettera è un falso. Più precisamente, è stata creata utilizzando un’altra lettera di Poletti, datata 11 febbraio 1982. Così come è falsa un’altra lettera presentata durante la trasmissione e firmata dal cardinale Camillo Ruini e datata 1995. Che è stata creata artificiosamente utilizzandone un’altra che risale al novembre del 2002. «Questa attività si chiama “dropping” e consiste nel ritagliare dei pezzi di un documento e successivamente incollandoli in un documento realizzato ex novo», spiega Cordella.

La sovrapposizione tra le due firme di Poletti

Il confronto

La lettera di Poletti è un falso perché le firme presenti nei due documenti «sono perfettamente sovrapponibili. In grafologia la sovrapponibilità di due firme è sinonimo di falso, in quanto non è possibile per un soggetto fare una firma esattamente uguale a un’altra. Anche realizzando un milione di firme, non ne troveremo mai una uguale all’altra nel senso di sovrapponibile», spiega Cordella.

La firma del cardinal Ruini presente nella lettera di Verissimo e quella della missiva del 2002

Riguardo la lettera di Ruini, Cordella premette che la firma che si visualizza dallo schermo televisivo è poco definita. Pertanto si può effettuare soltanto un confronto di natura grafo metrica, che consiste nel misurare le dimensioni (inizio della firma e allineamento rispetto all’intestazione stampata, misura delle lettere che salgono, movimento degli occhielli delle lettere “C”). «Anche in questo caso la perfetta sovrapponibilità delle due firme conferma al 100% che sono la stessa firma tagliata e incollata sul documento esibito», conclude Cordella.

La pista inglese

Sia la missiva di Poletti che quella dell’arcivescovo di Canterbury servono ad avvalorare la costruzione della cosiddetta “pista inglese”, inaugurata nel settembre del 2017 dalla presunta lettera di cinque pagine, datata marzo 1998 inviata dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Il titolo è “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina emanuela orlandi (roma 14 gennaio1968)“. Il documento sostiene che la Santa Sede abbia speso 483 milioni per l’affaire Orlandi, proviene dallo scandalo Vatileaks 2 e contiene errori nell’intestazione e nella grafia di uno dei due nomi dei monsignori citati.

Il falso, il vero e il verosimile

Quello che renderebbe quella lettera credibile sono le ricevute, che secondo il testo sarebbero allegate al documento. Ma purtroppo proprio quelle mancano. Il fratello di Emanuela, scomparsa in Corso Rinascimento a Roma il 22 giugno del 1983, sostiene che «per documenti particolari» all’epoca si inserissero «cose» per cui «se fossero diventate pubbliche si poteva dire che era un falso». Ma francamente non si capisce la logica di creare un documento partendo da una firma falsa per sostenere qualcosa di vero. I documenti falsi, fino a prova contraria, servono solo ed esclusivamente a sostenere «cose» false. In attesa dell’avvio della Commissione parlamentare sulla scomparsa della cittadina vaticana, forse sarebbe il caso di cominciare a separare il vero dal verosimile ed entrambi dal falso. Se non altro per evitare che anche questa non diventi una perdita di tempo. E di verità.

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